Laura Arconti, 93 anni compiuti, nonostante la sua seria disabilità motoria che la costringe da vari anni su una sedia a rotelle, rappresenta l’esempio di una grande Donna, militante storica del Partito Radicale, che non ha mai rinunciato alle sue idee di giustizia, libertà e uguaglianza, lottando per i diritti civili.
L’abbiamo incontrata, come Donne senza Frontiere, nel suo studio a Roma, dove usa Facebook e Twitter con la disinvoltura di una adolescente, per diffondere le battaglie radicali, impegnandosi in lunghi fili diretti su Radio Radicale, onde assicurare la sopravvivenza del Partito stesso per cui è necessario trovare almeno 3000 nuovi iscritti entro il 2018, dando continuità al congresso straordinario del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, tenutosi al carcere romano di Rebibbia a settembre 2016.
Come scrive nella sua autobiografia: «Sono nata nel 1925, un anno speciale: l’anno in cui Gaetano Salvemini aveva abbandonato definitivamente l’Italia e la sua cattedra fiorentina, per riparare negli Stati Uniti; l’anno in cui cominciava l’odissea dei fratelli Rosselli, tra esilio, processi, prigionia, evasioni rocambolesche, e il loro “Non mollare” stampato alla macchia, e distribuito clandestinamente, e al quale collaborava anche Ernesto Rossi; una collaborazione che pagò cara, fu processato una prima volta, e costretto a rifugiarsi in Francia. Per tutti questi motivi mi piace pensare che il Partito Radicale fosse scritto nel mio destino fin dalla mia nascita».
Attualmente è Presidente del “Tribunale delle Libertà Marco Pannella” e militante storica del Partito Radicale, che ha votato per la prima volta nel 1958. Alla domanda «Chi è stato per Lei Marco Pannella?», risponde con dolcezza: «Compagno, Amico, Fratello, Maestro. Un sodalizio fatto di reciproca fiducia, e di affetto sincero. Mi affidò la sua corrispondenza politica, che ho curato per anni, di notte, nei giorni festivi, nelle poche ore libere dal lavoro. Nei momenti difficili ci parlavamo in silenzio, con gli occhi inchiodati nello sguardo l’uno dell’altra».
Ascoltarla è stata una grande emozione e incoraggiamento, così come leggere le sue esperienze e varie note biografiche sparse qua e là in rete, da cui si apprende che ha avuto addirittura l’energia di scrivere recentemente «Marco Pannella, il Partito Radicale, la nonviolenza», un nuovo libro curato da Laura Arconti e Maurizio Turco, che raccoglie gli atti del convegno I radicali e la nonviolenza: un metodo una speranza (aprile 1988). Documenti e testimonianze vive di quel Partito Radicale che Pannella concepì e costruì quale bene comune di chiunque intenda spartire il pane della conoscenza, raccontate ai giovani e a chi ha dimenticato.
Quanto scriviamo in questa biografia è altro rispetto alla videointervista che potrete ascoltare dalla sua voce direttamente, in cui rivela tutta la sua grande quanto rara forza d’animo, senza lasciarsi scoraggiare dall’età e infermità, mantenendo viva la fiamma della passione e la capacità di sognare e vivere per i propri ideali.
Appartiene alla generazione di chi ha compiuto i suoi vent’anni alla fine della seconda guerra mondiale: «Anni in cui gli adolescenti andavano in bicicletta e conoscevano i loro primi amori», come lei stessa ci racconta, senza alcuna amarezza, ricordando di aver vissuto momenti drammatici, quali «le sirene dell’allarme aereo, le bombe, i rastrellamenti di casa in casa, gli incendi e i cadaveri, atrocità indescrivibili, la carta annonaria e la fame. Mentre, nel decennio successivo, in molti ci siamo ammalati di tubercolosi per le privazioni subite. Siamo quelli che hanno sempre rimproverato ai propri padri di aver assistito in silenzio, e senza reagire, all’instaurarsi del fascismo con tutte le conseguenze che ne sono derivate». Senza mancare nella parte finale della videointervista di denunciare che, nuovamente oggi, stiamo vivendo uno dei momenti più bui dal dopo guerra, in cui predominano logiche “manettare” e «una giustizia che può colpire chiunque», invitando i governanti neo-insediati a rileggersi Cesare Beccaria, anziché pensare rozzamente di poter risolvere gli atavici problemi da cui la giustizia italiana è afflitta, costruendo nuove carceri, restringendo le misure alternative, imbarbarendo le già disumane condizioni di vita dei detenuti o facendo il censimento dei Rom, che tanto ricorda quelli della Germania nazista e dell’Italia fascista, che, nel 1937, aprirono la strada alle persecuzioni etniche e ai campi di sterminio, in cui accanto agli ebrei morirono centinaia di migliaia di disabili, zingari, omosessuali e seguaci di Geova, realizzandosi così il progetto nazista di eutanasia sociale.
Racconta che la guerra le ha portato via anche la madre e di come la coerenza nei suoi ideali l’abbia indotta nel dopoguerra ad abbandonare un padre ricco, di cui «non riuscivo a condividere idee ed azioni». Aggiungendo: «Ho lavorato per sessant’anni, senza un giorno di pausa, all’inizio studiando di notte per strappare una laurea, e poi crescendo negli anni, senza alcun aiuto che il mio lavoro, rinunciando orgogliosamente anche alla parte di patrimonio paterno che la legge voleva assegnarmi, alla sua morte. Pannella l’ho sfiorato all’ Università: lui, più giovane di me di cinque anni, faceva già politica, io tiravo angosciosamente alla laurea, e annullavo le schede elettorali scrivendoci: “studiate, perdigiorno!”».
E, poi, la storia di una indimenticabile “rosa rossa” e del fatidico incontro con il “Maestro”, avvenuto nel corso del lungo digiuno di Marco Pannella, che, nel 1974, chiedeva l’accesso all’informazione televisiva per la Lega Italiana per il Divorzio (sostenuta anche da Don Franzoni, l’abate di San Paolo sospeso a divinis) e per gli altri gruppi non presenti in Parlamento. «Gli lasciai – racconta – all’albergo Minerva dove Marco viveva il digiuno, una rosa rossa e una lettera, contenente il più importante contributo finanziario che riuscii a mettere insieme; il giorno dopo ero al Partito in via di Torre Argentina 18, a smanettare sul ciclostile. Due giorni dopo ero in giro per la città, con una scatola da scarpe sigillata ed aperta da una fessura come un salvadanaio, a chieder soldi alla gente per il Partito Radicale».
Ogni volta ci ha messo l’anima. In tutte le battaglie civili e referendarie, a partire da quella anticoncordataria a quelle sulla fame nel mondo e alle campagne per il FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale), come d’altronde in tutto quello che ancora oggi fa e scrive, diffondendo idee di tolleranza, nonviolenza, ricerca della verità, etica, legalità e certezza del diritto. O, parlando di Satyāgraha, termine sanscrito, perlopiù ignoto ai giovani, che tradotto significa «resistenza passiva» o più letteralmente «insistenza per la verità». Una teoria etica e politica elaborata e praticata da Gandhi nei primi anni del Novecento, e in seguito adottata da Martin Luther King, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi. In Italia da Aldo Capitini, Danilo Dolci, Marco Pannella e altri attivisti pacifisti in tutto il mondo, che si basa sulla prassi della disobbedienza civile e su forme di lotta nonviolenta, secondo il principio di origine Induista, Giainista e Buddhista della «ahimsa».
La vita di Laura rappresenta per tutti noi un fulgido esempio di una esistenza dedicata al bene comune e alla creazione di valore, improntata a coraggio civile e coerenza con i propri principi etici, inducendoci a credere ancora che tutti noi potremmo essere migliori di quello che siamo, se solo ci aprissimo alla possibilità di discutere, informarci, crescere insieme agli altri, dialogare e rispettarci l’un l’altro. Come è stato scritto Laura è un patrimonio di passione, di amore per l’onestà intellettuale, di correttezza, di energia e di intelligenza. Laura è un dono. Grazie Laura per aver fatto tanta parte della storia di questo Paese che tanto amiamo ma spesso si lascia abbindolare dalle chiacchere del primo pifferaio che passa. Ma questo a te non preoccupa, non ti ha mai preoccupato. Questo ci insegni. Perché sei una forza della natura e non ti arrendi mai, hai il coraggio di lottare fino in fondo e di denunciare i grandi mali che affliggono la società del nostro tempo.
In tuo omaggio, condividendo gli ideali radicali della nonviolenza e la battaglia civile per l’amnistia ci è gradito ricordare che il Partito Radicale Nonviolento transnazionale e transpartito, terrà, il 21 luglio 2018 ore 14.00, presso la U.I.L Camera Sindacale Territoriale di Milano – Via A. Campanini, 7 (in prossimità della Stazione Centrale), una ASSEMBLEA PUBBLICA del PARTITO RADICALE, per la presentazione delle 8 proposte di legge di iniziativa popolare, denominata: “8 FIRME CONTRO IL REGIME”.
In particolare, riteniamo di particolare importanza: (i) la modifica dell’art. 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto [l’amnistia e l’indulto sono infatti necessari per riportare l’Italia nella legalità della sua Costituzione e davanti all’Europa. Il quorum di 2/3 del Parlamento dal 1992 rende impossibili questi provvedimenti]; (ii) l’abolizione della possibilità di assunzione di incarichi extragiudiziari da parte dei magistrati [onde impedire agli stessi di assumere incarichi incompatibili con l’esercizio efficiente e imparziale delle loro funzioni principali e ordinarie, ovvero quello di amministrare la giustizia «in nome del popolo italiano»; (iii) la Riforma del sistema di ergastolo ostativo, del regime del 4 bis e abolizione dell’isolamento diurno. Misure sicuramente improntate a principi di civiltà giuridica [Come diceva Leonardo Sciascia, la mafia non si combatte con la terribilità delle pene, ma con il diritto. E l’art. 27 della nostra Costituzione afferma che la pena non può essere contraria al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato].
Riteniamo, infatti, necessaria ed urgente una amnistia generale, in grado di ripristinare le condizioni di legalità costituzionale nei tribunali e nelle carceri italiane, propedeutica ad una grande riforma della giustizia, da contrapporre all’amnistia di classe, sotto forma di prescrizione, arbitrio nelle mani della magistratura di regime, che già nel 2016 cancellava ben 132mila processi. Una forma vera e propria di amnistia sommersa, che negli ultimi 10 anni ha mandato al macero oltre 1,5 milioni di processi per prescrizione – e, cioè quelli dei potenti e di chi si può permettere la migliore difesa e di ungere gli ingranaggi della macchina burocratica, ritardando ad oltranza i processi dei colletti bianchi e condannando al carcere i cittadini più poveri e indifesi. Molto spesso anziani, malati, disabili, extracomunitari, tossicodipendenti, soggetti svantaggiati, reclusi il più delle volte per reati bagatellari, che vengono condannati a pene sproporzionate, al fine precipuo di riempire le celle di povera gente, per dare la parvenza di un sistema giudiziario severo ed efficiente.
La certezza della pena non è riempire le carceri di povera gente. Senza umanità della pena e rispetto della dignità umana vi è solo vendetta di Stato e ipocrisia di una classe dirigente corrotta che vuole creare allarme sociale sui reati minori per lasciare impuniti quelli delle caste dominanti. La risposta che deve dare una Società civile alla domanda di legalità è riempire le carceri di colletti bianchi, garantire la difesa dei soggetti più deboli, restituire fiducia nelle istituzioni, quelle giudiziarie incluse, attraverso giudici onesti e indipendenti dai poteri forti, istituendo commissioni di controllo sull’operato della magistratura, con la partecipazione dei cittadini, in modo da cacciare i corrotti e liberare il Paese dalle massomafie e dai poteri criminali.
Laura Arconti è fondatrice dell’Associazione “Vita e Disarmo”, sezione italiana di “Food and Disarmament International”, diretta da Emma Bonino. Ha fatto parte del Consiglio Federale del Partito Radicale e ne è stata revisore dei conti. È stata Presidente di Radicali italiani, durante il XII Congresso.
VIDEO:
Per saperne di più sulla campagna 2018 di iscrizione al Partito Radicale:
https://twitter.com/laurarconti1