Ovvero, tre parallele storie di usura ed estorsione legalizzate dalla magistratura.
In questa rubrica ospiteremo tutte quelle cronache giudiziarie di ordinaria ingiustizia che, per quanto eclatanti, difficilmente potrete leggere sui media di qualsiasi tendenza politica, in quanto talmente scomode agli interessi di ogni schieramento da essere sistematicamente censurate, nel timore che i lettori, i quali al tempo stesso sono elettori, comprendano come stiano effettivamente le cose e che nessun partito ha veramente a cuore la giustizia – né di affermare in concreto il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si tratta di storie che rivelano l’esistenza di un vasto sistema di malaffare, profondamente radicato nel tessuto istituzionale, gestito direttamente dagli apparati dei partiti, e congenito al funzionamento stesso delle istituzioni e dell’economia di mercato, in grado di produrre un vertiginoso flusso di finanziamenti illeciti, clientelismo, voto di scambio e garanzie di impunità, dove gli interessi della politica, dell’imprenditoria, dell’informazione, della mafia, della criminalità organizzata, della giustizia e, financo, delle chiese e delle organizzazioni antimafia, si fondono con gli interessi dei cosiddetti "poteri forti economico-finanziari globali", dietro cui notoriamente si cela la lunga manus della massoneria internazionale che, almeno dai tempi di Benjamin Franklin (affiliato alla massoneria tra i padri fondatori degli Stati Uniti d’America) e di Garibaldi, controlla gli scenari internazionali e le sorti del mondo.
Il "principio di intangibilità" degli affiliati alle varie consorterie affaristico-giudiziarie si contrappone quindi a quello di "uguaglianza di fronte alla legge", per cui accade, come ora Vi raccontiamo, che da "Milano a Brescia la Giustizia funzioni alla rovescia" e che anche spostandosi di latitudine verso i più rigidi climi del nord le cose non cambino affatto.
I rappresentanti dei poteri forti e delle logge massomafiose che controllano il territorio, fanno da padroni nelle aule di giustizia e riescono quasi sempre a farla franca o, a venirne fuori con il minimo scotto, spesso con il compiacente avvallo degli organi di controllo della magistratura e dei Palazzi romani, tra cui lo stesso C.S.M., come invano denunciavano già negli anni novanta alcuni tra i migliori magistrati antimafia, come Salvo Boemi, Roberto Pennisi, Agostino Cordova, Alberto Di Pisa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri, minacciati di morte, messi a tacere e delegittimati dagli stessi rappresentanti di quei poteri occulti che avevano inascoltatamente denunciato … ________________________________________
L’INCREDIBILE STORIA DI UN CANCELLIERE DIRIGENTE DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, DAPPRIMA VITTIMA DEGLI USURAI, EPPOI DEI GIUDICI.
Francesco Santomanco, ex Cancelliere Dirigente della Corte d’Appello di Milano, dopo 35 anni di onesto servizio, prima di venire illegittimamente spogliato della propria abitazione, denuncia di essere stato costretto a sottoscrivere da un gruppo di strozzini con aderenze nella locale magistratura, cambiali ipotecarie e titoli per oltre 1,2 miliardi delle vecchie lire, a fronte di un prestito di appena 60 milioni di lire e sottoposto all’ingiusto pignoramento di due immobili, tra cui appunto la casa ereditata dai genitori.
Gli immobili, situati nel centro storico, a due passi dalla Prefettura, con un valore di almeno € 6000 al metro quadrato, vengono valutati dal Tribunale di Milano a quotazioni da vera e propria ricettazione (€ 1500 al mq.) e alienati in aste deserte a società immobiliari.
La denuncia per usura e frode processuale finalizzata all’estorsione viene archiviata senza svolgere alcuna indagine, da parte del P.M. Spataro e dal G.I.P. Varanelli, sostenendo contrariamente alle evidenze documentali e probatorie offerte che "non sarebbero state allegate le prove" dei reati denunciati.
Analoga totale assenza di tutela si registra anche da parte della Prefettura di Milano, che seppure, inizialmente, orientata ad accogliere l’istanza ai sensi delle Leggi Antiusura nn. 108/96 e 44/99, dopo avere acquisito il parere negativo del Presidente del Tribunale, nega l’accesso al fondo previsto per le vittime dell’usura e financo la proroga di gg. 300 della sospensione dell’esecuzione di rilascio dell’abitazione.
Lo stesso avviene in sede civile coi molteplici ricorsi in opposizione alla vendita e al rilascio degli immobili, in cui si chiede la sospensione dell’esecuzione. Nonostante i ripetuti solleciti, ben 12 ricorsi di urgenza rimangono tutti pressoché inesaminati, sino all’accesso della forza pubblica, eppoi iniquamente respinti con la sconcertante motivazione che l’esecuzione di rilascio sarebbe stata "ormai in corso" e che la vendita seppure dapprima provvisoriamente sospesa, sarebbe "indenne da censure". Ciò, giungendo a negare qualsiasi accertamento istruttorio sul valore effettivo degli immobili e sulla sussistenza di illegittime interferenze e interessi estorsivi che hanno inficiato di nullità l’intero processo esecutivo.
A seguito della pubblicazione del caso sul sito http://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia in Lombardia), la Presidente della terza Sezione Esecuzioni immobiliari del Tribunale di Milano, dr.ssa Gabriella D’Orsi e altri giudici civili incaricati dei procedimenti, sporgono denuncia per "calunnia" sia nei confronti del Presidente dell’Associazione, responsabile del sito, sia nei confronti dell’ex Cancelliere Francesco Santomanco, che li aveva denunciati alla Procura di Brescia e al C.S.M., unitamente ai giudici penali e alla Prefettura di Milano, ipotizzando a loro carico i reati di falso ideologico, abuso continuato, omissione e interesse privato in atti di ufficio.
Con quale risultato? I giudici sono ancora tutti lì; mentre l’ex Cancelliere anziano e malato, dopo essere stato brutalmente legato con le cinghie alla barella, perché non voleva uscire dalla sua casa, finisce al Dormitorio Pubblico di Via Ortles. E, senza che nessuno dei giudici che avevano ritenuto denunciarlo per "calunnia" provvedesse ad astenersi da ogni giudizio che lo riguardava, come obbligatoriamente previsto per legge, l’usurato viene anche condannato al pagamento di pesanti spese processuali per alcune diecine di migliaia di euro in ogni processo.
Lo sconcertante epilogo del caso è che a Milano chi denuncia di essere vittima dell’usura e della "compagnia della morte" che, notoriamente, controlla le vendite giudiziarie, viene lasciato solo, con il beneplacito di tutti gli organi della magistratura e delle istituzioni a cui Francesco Santomanco si era fiduciosamente rivolto.
Anche alla Procura di Brescia le cose non procedono diversamente.
Le varie denunce a carico dei magistrati di Milano o, non vanno avanti (in altre parole vengono affossate) o, vengono archiviate, sempre senza svolgere alcuna indagine né tanto meno informare, come suo diritto, la parte offesa che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 410 c.p.p., così da impedirgli di proporre opposizione alla richiesta del P.M. di archiviazione.
Il vento sembra non cambiare neppure alla Pro
cura di Trento, tutt’oggi inerte, dove l’inchiesta si trasferisce per competenza territoriale, ex art. 11 c.p.p., a seguito della ulteriore denuncia dell’ex Cancelliere degli abusi commessi nei suoi confronti, da parte di magistrati della Procura di Brescia. E qui si intrecciano le altre due parallele storie di usura ed estorsione legalizzate di altre malcapitate vittime di "errori giudiziari", commessi da magistrati di Treviso, di cui Vi parliamo in questo primo numero del giornale on line.
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FALLIMENTOPOLI E CRIMINALITA’ GIUDIZIARIA NEL TRIVENETO. 92enne affetta da Alzhaimer spogliata della casa e gettata in mezzo alla strada.
La seconda storia, di cui abbiamo già parlato ne "la Voce di Robin Hood" (Ottobre 2002), scaricabile dal sito http://www.avvocatisenzafrontiere.it/ (nelle pagine web della mappa della malagiustizia nel Veneto) è quella di una inerme vecchietta di 92 anni, Moino Ermina, affetta dal morbo di Alzhaimer, pure sommariamente estromessa dalla sua abitazione, insieme alla figlia, Nellida Bernardi, a seguito della solita vendita giudiziaria pilotata, per favorire una profittevole speculazione edilizia sull’importante area, ove si ergeva la sua modesta casa, sita nel centro storico della ricca e laboriosa Castelfranco Veneto.
Esecuzione che viene autorizzata dal Giudice dr. Umberto Donà del Tribunale di Treviso, seppure il ricavato della vendita dei beni societari (3,6 miliardi di lire) sia ampiamente in grado di coprire la pretesa vantata dalla Cassa di Risparmio di Venezia (Carive), di circa 2,0 miliardi di lire (somma che risultava peraltro gravata da pesanti tassi usurari).
Nasce così il caso Moino-Bernardi, le quali denunciano la Carive per avere artatamente provocato, dapprima il fallimento dell’azienda della famiglia Bernardi, eppoi la vendita alla asta dell’abitazione privata, su cui gravava un diritto di abitazione a vita dell’anziana Moino.
Le due anziane denunciano, altresì, il Giudice Donà per avere autorizzato, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e senza alcuna obbiettiva necessità, la vendita dell’usufrutto a vita, del valore di pochi milioni di lire, a fronte di una vessatoria fidejussione rilasciata dalla sig.ra Moino, in favore della figlia per l’erogazione di un mutuo ipotecario per l’originaria somma di appena lire 600.000.000.
Il motivo? L’area fabbricabile ove sorgeva la loro modesta abitazione era stata inserita nel piano regolatore del Comune di Castelfranco Veneto e ciò aveva scatenato gli appetiti di un costruttore locale, il quale non esitava ad acquistare nella solita asta deserta e a prezzo vile l’immobile, nonostante le opposizioni e le plurime denunce dei legali delle vecchiette, che venivano sommariamente estromesse dalla forza pubblica, senza che, anche in questo caso, intervenisse la locale Prefettura, alla quale si erano ripetutamente rivolte. Nel frattempo la povera Sig.ra Moino è passata a miglior vita e la figlia continua a sopravvivere dal 1997 con un assegno alimentare mensile di € 250, erogatogli dal ricavato della vendita dei suoi beni immobili, ciò mentre il locale Tribunale fallimentare rifiuta del tutto illegittimamente di restituirgli la differenza residua di circa € 500.000, seppure sia già stato approvato da alcuni anni il piano di riparto.
Ma non è tutto. Nonostante la Sig.ra Bernardi abbia proposto querela nei confronti degli istituti bancari e della Basso Immobiliare s.r.l., nonché dei giudici del Tribunale di Treviso e vi siano ben quattro procedimenti pendenti presso la Procura di Trento (nn. 1047/99, 1629/99, 2039/99, 12939/01), per frode processuale, abuso continuato e interesse privato in atti d’ufficio, falso ideologico e favoreggiamento, nessuna attività investigativa è stata svolta a carico del dr. Donà e i fascicoli giacciono mestamente negli Uffici della Procura. Omessa attività di indagine che ha recentemente costretto la Sig.ra Bernardi a proporre istanza di avocazione delle indagini al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento, il quale al momento è rimasto del tutto inerte…
Dulcis in fundo, la Basso Immobiliare s.r.l., sentendosi diffamata dalla pubblicazione del caso sul sito di "Avvocati senza Frontiere", spalleggiata dalla Procura di Treviso, ha pensato bene di presentare querela per pretesa "diffamazione a mezzo internet", il cui procedimento a carico del responsabile dell’Associazione, Dott. Pietro Palau Giovannetti, in questo caso si celebrerà in tempi sorprendentemente brevi, il 13 giugno 2007. Ovviamente, la difesa non mancherà di fare rilevare l’adozione di due pesi e due misure nella gestione della vicenda e di battersi per affermare i principi di verità e giustizia (organo giudicante permettendo…) che sono alla base dell’impegno sociale di Avvocati senza Frontiere. Sul punto si osserva che la querela per diffamazione a mezzo stampa, unitamente a quella per calunnia, è ormai diventata un autentico sport nazionale nelle mani della magistratura di regime, collusa coi poteri forti, come risultante da una ricerca dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ove è emerso che tra le categorie professionali maggiormente coinvolte nei procedimenti di diffamazione a mezzo mass-media spicca al primo posto, guardacaso, proprio quella degli stessi magistrati con ben il 44% dei casi, seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%) [S. Peron e E. Galbiati, "I Dossier di Tabloid, Relazione sulle sentenze emesse dalla Corte d’Appello civile di Milano nel biennio 2001-2002. Diffamazione a mezzo stampa", in Supplemento Tabloid n. 6/2004). Con ciò ledendo il principio fondamentale della libertà di parola e di manifestazione del pensiero, espressi in modo del tutto chiaro nell’art. 21 della Costituzione, ovvero il diritto di critica. In proposito, occorre evidenziare che i concetti espressi in sede giurisprudenziale, circa l’interesse per l’opinione pubblica alla divulgazione dei fatti: cioè la correttezza delle modalità di esposizione, la corrispondenza fra i fatti accaduti e i fatti narrati, come cause di giustificazione, rispetto al delitto di pretesa diffamazione, sono in evidente contrasto con l’antiquata ed autoritaria formula dell’art. 596 c.p., purtroppo ancora vigente, per cui l’imputato non è ammesso a provare a sua discolpa la verità o la notorietà del fatto (ex multis Cass. Pen. Sez. Unite 16 ottobre 2001 n. 37140). Nella specie, si pongono poi ulteriori problemi interpretativi circa la perseguibilità della querela, evidentemente proposta ed utilizzata a scopo meramente intimidatorio, in quanto secondo numerose pronunce dei giudici del merito (Tribunale di Teramo, Gip di Oristano …) si nega che si possa parlare di diffamazione a mezzo stampa, laddove lo strumento utilizzato sia la comunicazione telematica. Ciò in quanto nessun sito può essere raggiunto casualmente in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione ad un motore di ricerca; cosa che nel linguaggio giuridichese si traduce nel divieto di applicazione del principio analogico che non è previsto nel nostro sistema penale. In attesa di una definitiva più chiara pronuncia della Suprema Corte si resta nel frattempo nel dubbio.
Dubbi che invece non sussistono, circa la ricostruzione dei fatti di cui Nellida Bernardi e sua la sua anziana madre sono rimaste vittima, nonché circa le precise responsabilità ascritte alla Basso s.r.l., alla Carive e ai magistrati che sinora ne hanno coperto i
delitti rimasti impuniti. _______________________________________
GOLF, BANCHE, GIUDICI E AFFARI
La terza parallela storia che chiude il cerchio del malaffare affaristico-giudiziario trevigiano e di questa prima serie di racconti, affermando il principio che <l’ingiustizia è uguale per tutti i poveracci> a qualsiasi latitudine del Paese, da Milano a Brescia e da Brescia a Trento, è quella di Coletti Maria, altra vittima della speculazione edilizia e dell’usura bancaria, che rischia nei prossimi mesi di vedersi illecitamente espropriare con il beneplacito della magistratura, della sua abitazione e di un circostante terreno di notevole prestigio, ad istanza della Banca di Credito Cooperativo Alta Marca, già da tempo nel mirino della Banca d’Italia e di indagini penali.
Il motivo? La sua modesta abitazione ha il torto di affacciarsi sui campi dell’Asolo Golf Club e di fare gola ai soliti speculatori immobiliari che intendono demolire tutto e costruire villette a schiera e strutture per nababbi.
Per la solita commistione di oscuri interessi tra giustizia e affari, seppure sia stato provato che la malcapitata vittima di turno abbia pagato sino all’ultimo centesimo quanto ancora indebitamente preteso dalla banca, a fronte di un’inesistente acquisto di titoli CTZ, mai richiesti dalla sig.ra Coletti, il solito Giudice dell’Esecuzione di Treviso Umberto Donà – lo stesso già indagato per il caso Bernardi – anche in questa circostanza si è rifiutato illegittimamente di sospendere la vendita e, prima di mandare la casa all’asta, di disporre una Perizia contabile per accertare l’effettiva situazione di dare/avere tra le parti, ovvero se il preteso acquisto di titoli CTZ non sia frutto di una truffa intentata dalla Banca di Credito Cooperativo Alta Marca.
Tutto ciò è stato da tempo vanamente denunciato alla Procura di Trento e al Presidente del Tribunale di Treviso, i quali sono rimasti del tutto inerti, come nel caso Bernardi, giungendo a respingere anche la richiesta di gratuito patrocinio e la stessa richiesta di ricusazione del dr. Donà, pur sussistendo un evidente insanabile conflitto di interessi tra la sua posizione di indagato e quella di Giudice dell’Esecuzione, cosa che non gli ha impedito di disporre la vendita all’asta per il 7.11.2007, infischiandosene anche delle opposizioni proposte dai difensori ai sensi degli artt. 569 c. 4, 615 e 617 c.p.c., per cui avrebbe avuto l’obbligo di disporre la sospensione automatica della vendita.
A quadrare gli ambigui fini della giustizia vi è il fatto che la Procura di Trento, in persona del P.M. De Benedetto, risulta ingiustificatamente inerte, anche alle stesse sollecitazioni del G.I.P. dr. La Ganga, il quale ha ripetutamente e vanamente chiesto indagini a carico del dr. Donà e di altri magistrati trevigiani. Provvedimento rimasto da quattro anni illegittimamente ineseguito con il pretesto che il P.M. avrebbe proposto due ricorsi in Cassazione avverso le richieste di indagini avanzate dal Gip. Cosa che non può che lasciare sgomenti, in quanto il P.M., quale rappresentante della Pubblica Accusa, non dovrebbe avere alcun titolo né apparente interesse ad opporsi a svolgere le suppletive indagini ritenute opportune dal Gip, prendendo in sostanza le difese dei giudici che sarebbe stato suo ineludibile dovere indagare, senza ritardo, assolvendo alle sue alte funzioni istituzionali. Un’evidente inversione dei ruoli e stravolgimento delle funzioni giudiziarie, per cui ci ritroviamo a pagare lo stipendio a dei magistrati che, invece di tutelare i diritti dei più deboli, proteggono gli interessi del potere e di coloro che attentano ai diritti dei cittadini, facendo perdere credibilità all’intero sistema giudiziario e speranza nella Giustizia.
Nel caso Coletti, al danno si è aggiunta anche la beffa, in quanto il P.M. De Benedetto ha richiesto l’archiviazione, sostenendo contrariamente a qualsiasi evidenza documentale e logica di buona fede, trattarsi delle "medesime questioni oggetto del caso Bernardi", per cui aveva proposto anni orsono la predetta improponibile impugnazione avverso le richieste di indagini avanzate dal GIP. Ricorsi del cui esito, occorre peraltro evidenziare, nulla si sa e si è mai saputo: cosa che denota come la giustizia anche presso la Suprema Corte di Cassazione sia in balia degli interessi di chi sta dalla parte di quei "poteri forti economico-finanziari globali", di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, che controllano l’economia e le istituzioni.
Un conflitto di interessi, quello del P.M. di Trento, che non può non stupire coloro i quali credono nell’indipendenza della Magistratura e nella supremazia del diritto, tanto più se si considera che a fronte dell’inerzia delle indagini a carico dei giudici sospettati di collusioni, il Presidente della nostra Associazione, è stato, come detto, rinviato a giudizio a tempi di "giustizia scandinava", per diffamazione a mezzo internet, quale responsabile del sito http://www.avvocatisenzafrontiere.it/ , dove si denunciano i casi Bernardi, Santomanco ed altri.
Tony Reds (Avvocato)