A cura di Pietro Palau Giovannetti
Che le «massomafie» abbiano messo le mani sulla giustizia in Lombardia (e non solo) dai tempi della “Duomo connection” e del cd. “Autoparco della mafia” di Via Salomone a Milano, lasciato libero di operare in piena “mani pulite”, lo sanno anche gli studenti di Giurisprudenza del primo anno. Io lo denunciai sin dalla metà degli anni ’80, tanto da venire indicato in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, dall’allora Procuratore Borrelli, come la possibile fonte del misterioso “Dossier Achille”, in un articolo dall’emblematico titolo: «Il mistero di sei schede (scomparse). Massoni “coperti” nel pool di Milano?».
Inchiesta poi affossata dalla Procura di Brescia la quale si diceva avere in corso “delicatissime indagini” sul più segreto dei dossier del Sisde, contenente presunte schedature di magistrati del pool di Milano. Quelle sei misteriose schede di cui era negato conoscere persino al Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti che pure, dopo un lungo tira e molla, era stato autorizzato dal Presidente del Consiglio Prodi a prendere visione del fascicolo con la procedura ultrariservata della lettura “solo per gli occhi”, senza estrarne copia, cioè senza portarlo via dalla sede del Sisde: https://www.avvocatisenzafrontiere.it/?p=1398.
Ma sono in pochi oggi a ricordarlo e a fare tesoro della storia giudiziaria del nostro Paese, quando Paolo Storari, un P.M. per bene a cui piace e sa fare il proprio lavoro in maniera onesta e trasparente, senza comportamenti omertosi, denuncia l’esistenza della “Loggia Ungheria”, una associazione segreta in grado di condizionare le attività giudiziarie e della politica italiana, controllando i vertici della magistratura italiana.
L’Autoparco di Via Salomone a Milano era la principale centrale operativa di tutte le mafie operanti nel Nord Italia, una sorta di “terminal” delle organizzazioni criminali dove convergevano droga, trafficanti internazionali, soldi sporchi, riciclaggio, armi, esplosivi ed al cui interno si eseguivano e progettavano omicidi, attentati contro magistrati scomodi, evasioni di boss. Il tutto, grazie ad agenti di P.S. a libro paga delle massomafie, politici corrotti, colletti bianchi, imprenditori e professionisti disposti a chiudere entrambi gli occhi e, secondo i pentiti, a farli chiudere anche ai magistrati.
Un’incredibile rete di protezione che ieri come oggi, a quanto denunciato dall’Avv. Piero Amara, risulterebbe lasciata libera di agire impunemente dai vertici della magistratura e del C.S.M., nel silenzio delle più alte cariche dello Stato.
Nei primi anni ’90 si parlò della guerra tra la procura di Firenze diretta dall’integerrimo Pier Luigi Vigna, ex Procuratore Nazionale Antimafia, che scoperchiò l’Autoparco della mafia di Via Salamone e quella di Milano, diretta dall’allora discusso Procuratore Francesco Saverio Borrelli, accusato di avere insabbiato l’inchiesta con alcuni P.M. milanesi, secondo i pentiti della Procura di Firenze.
Oggi lo scontro è tra Francesco Greco e Paolo Storari: P.M. scomodo della Direzione Distrettuale Antimafia.
Solo negli ultimi due anni – per citare i casi più clamorosi – il P.M. Storari ha posto al centro delle sue indagini, sempre con risultati e inchieste solide, multinazionali come il colosso della logistica Ceva Logistics, ottenendone il commissariamento nel 2019; Ubereats per il selvaggio sfruttamento sui riders, ottenendone l’amministrazione giudiziaria nel 2020 e il rinvio a giudizio dei manager Uber. In tal modo “svelando” le vergogne del caporalato all’ombra della Madonnina e non più in un remoto campo di pomodori del Mezzogiorno. Negli ultimi mesi, ha recuperato insieme alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate 20 milioni di euro da DHL Supply Chain Italy per evasione fiscale e contributiva; 22 milioni dal colosso degli appalti negli Hotel Cegalin-Hotelvolver, sequestro convalidato dal Gip. Altri 9 milioni di euro da una imprenditore di Varese che aveva dirottato i propri ricavi per sottrarli al fisco italiano su conti off-shore. Mentre, ai tempi di Expo 2015, conseguì il sequestro preventivo di diversi milioni di euro, con un’operazione condotta con la Guardia di Finanza su presunte infiltrazioni mafiose negli appalti della Fiera di Milano e di Expo 2015. Vennero arrestate 11 persone, tra cui un noto avvocato siciliano, con accuse quali l’associazione per delinquere finalizzata a fatture false, reati tributari, riciclaggio, etc., con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra.
In buona sostanza ha iniziato a scoperchiare il malaffare e i segreti della nuova “Milano da bere”, formato “mafia lombarda”, mettendo nero su bianco quello che nessuno prima osava fare: nella città dove si parla solo di affari e alta finanza, di “sghei” o “dané”, il vero problema è proprio il controllo dell’economia e la provenienza dei capitali che affluiscono a pioggia dalle organizzazioni criminali e il loro riciclaggio nelle attività lecite. Le sue inchieste fotografano le infiltrazioni mafiose nel tessuto sano dell’economia e della Società civile, il capolarato e l’evasione fiscale, con tecniche sempre più raffinate degli imprenditori del Nord collusi con i clan. Si dice che quando arriva la notizia di una sua indagine su una società, i manager entrano nel panico, perché il suo nome suona come campanello d’allarme per gli avvocati del giro che conoscono come opera, senza fare sconti a nessuno.
Ma pare che si preferisca dubitare esista davvero una loggia massonica chiamata Ungheria e ovviamente rimuovere Paolo Storari da ogni incarico, adombrando che i verbali dell’interrogatorio reso dall’avvocato Piero Amara siano un coacervo di fatti veri, verosimili e falsi, sapientemente manipolati per consumare non si sa bene quali vendette o generare ricatti. Sebbene, quanto riferito al P.M. Storari, il 9/12/2019. alla presenza dell’Avv. Savino Mondello, legale di Piero Amara, appaia credibile e ricco di riscontri, avendo egli stesso ammesso di far parte della loggia «Ungheria», elencando nomi e circostanze, ovvero raccontando incontri e colloqui. Anche se è pur vero che Amara, come taluni affermano, avrebbe diversi conti aperti con la giustizia e le sue dichiarazioni devono essere prese con cautela. L’avvocato risulterebbe già condannato per corruzione in atti giudiziari e inquisito in numerose inchieste, compresa quella riguardante un presunto “depistaggio ai danni dell’Eni” (Ente che ai tempi di mani pulite ha rappresentato la principale fonte di finanziamento illecito ai partiti, compresi Lega Nord e Cooperative rosse, ovvero la cinghia di trasmissione per la costituzione di fondi neri all’estero, anche per i servizi segreti, pista su cui indagavano Falcone e Borsellino, prima di venire eliminati con la complicità delle mafie di Stato).
Così due giorni dopo il pm Paolo Storari scrive una mail al procuratore Francesco Greco «per evidenziare la necessità di effettuare iscrizioni per fare accertamenti». Amara continua a parlare, riempie altri verbali. Poi l’Italia va in lockdown e l’inchiesta rallenta. Ma mentre vengono tenute udienze in presenza anche per semplici processi civili, i misteri della potente loggia Ungheria restano irrisolti. Così, come quelli delle sei schede ultrariservate del Sisde, in possesso della Procura di Brescia, ovvero come i nomi della «lista segreta» di Licio Gelli. sequestrata a Villa Wanda, dall’ex P.M. di Milano, Gherardo Colombo, ai tempi della P2.
A seguito di questo stallo, Storari sollecita Greco e il Procuratore aggiunto Pedio ad avviare subito un’indagine sulla Loggia Ungheria. Cosa che avviene solo il 12 maggio 2020. Si confida, quindi, con il suo maestro Piercamillo Davigo, e da qui parte uno dei casi più clamorosi del dopoguerra, nella storia della magistratura italiana, destinato a scuoterne i vertici, fino al C.S.M., che pare rimanga inerme, nonostante la segnalazione del Consigliere laico Davigo, escluso dal massimo organo di autogoverno, proprio il giorno in cui era a Perugia, interrogato da Raffaele Cantone, come teste nel processo a carico di Luca Palamara. Singolarmente la sua estromissione, dopo una drammatica discussione, avviene proprio con i voti determinanti del Vice Presidente del C.S.M. David Ermini (cui sarebbe stato riferito del presunto insabbiamento delle indagini sulla loggia Ungheria) e dei vertici della della Cassazione, tra cui il primo Presidente Pietro Curzio e del Procuratore Generale Giovanni Salvi, anch’egli reso partecipe a quanto riferito dallo stesso Davigo, dell’esistenza della loggia Ungheria.
Ed è così che ad ottobre 2020, un giornalista del Fatto Quotidiano riceve un plico con una lettera anonima e le copie dei verbali di Amara, di cui viene accusata la segretaria di Davigo, il quale nel frattempo rilascia commenti critici e indignati. Ma, Francesco Greco, anche della cui onestà non vi è motivo di dubitare, la prende male e si scatena la faida all’interno della Procura di Milano e del C.S.M.
Pietro Amara è indagato dalla Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, già presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che sta indagando sull’intera vicenda, riguardante la loggia Ungheria e sulla lista di 40 noti esponenti facenti parte dei vertici delle forze dell’ordine, imprenditori, magistrati, avvocati e politici. Amara parla anche di annotazioni sugli accordi per nomine di uffici giudiziari e altri “affari” e consegna file audio e video che dovrebbero provare l’esistenza della loggia Ungheria.
Il procuratore Francesco Greco è indagato a Brescia per omissione di atti d’ufficio.
La notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del procuratore Greco emerge a seguito dell’avvio del procedimento da parte della procura di Brescia al Csm, al Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e al Ministero della Giustizia. Il reato contestato, come atto dovuto, è l’omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c.1 c.p.) per aver omesso la tempestiva iscrizione delle notizie di reato derivanti dalle dichiarazioni rese nel dicembre del 2019 dall’avvocato Piero Amara al procuratore aggiunto Laura Pedio (altro magistrato integerrimo) e al P.M. Paolo Storari nell’ambito dell’indagine sul cosiddetto “falso complotto Eni”.
Nel frattempo, inizia il procedimento a carico di Storari davanti alla Sezione disciplinare del Csm. Il P.G. presso la Corte di Cassazione chiede, in via cautelare, il trasferimento d’ufficio e la rimozione dalle funzioni di pubblico ministero. Tra i 5 capi d’incolpazione, la divulgazione all’allora consigliere del Csm Davigo dei verbali degli interrogatori di Amara, atti nell’aprile 2020 coperti da “segreto”. A Storari è poi contestato di avere violato il dovere di astensione e obblighi di correttezza perché nella consapevolezza della consegna degli atti a Davigo, divenuto titolare dell’indagine sulla diffusione in forma anonima di quegli atti ad alcuni giornalisti, avrebbe trascurato di svolgere atti di indagine. Sia Storari sia Davigo sono a loro volta indagati dalla Procura di Brescia, per rivelazione di segreto d’ufficio. Nell’atto di incolpazione della Procura generale si legge della presunta necessità della misura cautelare del trasferimento (sic!) “anche come garanzia di serenità di tutti i magistrati del distretto a fronte della gravità delle condotte ascritte a Storari e dell’enorme visibilità mediatica dell’intera vicenda”.
Ma i riscontri sull’esistenza della loggia Ungheria vengono anche dall’esterno.
Raggiunto dall’inviata di Quarta Repubblica, Amara dichiara di avere l’intenzione di fare nomi e cognomi in merito a questo fantomatico gruppo di potere. A parlare è l’ex manager dell’Eni Vincenzo Armanna, il quale alla domanda “se esista una loggia massonica chiamata Ungheria o esiste un sistema che poteva essere travestito da loggia massonica? – avrebbe risposto affermativamente. Aggiungendo ulteriori risposte altamente inquietanti. Tra le quali, “se ci sono appartenenti fissi a questo sistema?” – la risposta è “sì”. Se “sono sempre gli stessi?” – la risposta è ancora “sì”. Precisando che: “Un gruppo di potere costituito da importanti personalità, come magistrati, imprenditori, avvocati, vertici della polizia e politici, che avrebbe addirittura tentato di condizionare le nomine all’interno delle Procure nelle più importanti sedi.
Perché si chiama loggia Ungheria?
Sembra che la loggia Ungheria affondi le sue radici storiche e prenda appunto questo nome proprio da un avvenimento antico che si colloca nella storia della stessa associazione segreta. Inizialmente, infatti, alla nascita dell’associazione segreta, le riunioni avvenivano a Roma e per l’esattezza a piazza Ungheria nell’abitazione di un alto magistrato. Nonostante il luogo della riunione, sembra che la loggia Ungheria sia in realtà nata in Sicilia. A quanto ricostruito pare che la segretezza della loggia fosse insita nella pratica stessa dell’assemblea, i cui affiliati per riconoscersi come tali utilizzavano sia dei codici sia dei comportamenti in codice. Esempio è la frase: “Sei mai stato in Ungheria?”. Pare che questa domanda fosse la parola d’ordine per riconoscersi tra membri interni. Se il sodale rispondeva alla domanda correttamente accedeva, in caso contrario non si trattava di un affiliato.
Il parallelismo tra Piero Amara, Luca Palamara, Mario Chiesa e l’inchiesta di mani pulite.
Francesco Floris, in un sagace articolo del 21/7 u.s. ricorda che uno degli aneddoti più famosi di Antonio Di Pietro riguardante Mario Chiesa, fotografa perfettamente l’attuale situazione e cosa stia accadendo oggi nella magistratura italiana. È il 1992 e il primo indagato di “Mani Pulite” – quando ancora non si chiama così – appena arrestato con le tangenti del Pio Albergo Trivulzio, legge che i suoi compagni socialisti, nello specifico il segretario Bettino Craxi, lo definiscono una “mela marcia”. Mario Chiesa chiama il futuro fondatore dell’Italia dei Valori e gli dice: “Dottor Di Pietro, ora le racconto il resto del cesto”. Ormai è Storia, con la “S” maiuscola. Ma una storia simile, almeno per la morale, a quella che sta accadendo in Procura a Milano.
Mutatis mutandi, nonostante il tempo trascorso, la tecnica è la stessa. I nuovi Mario Chiesa, sono le gole profonde, Luca Palamara e Piero Amara, che si vorrebbero delegittimare e mettere a tacere, come ai tempi dell’ex procuratore Borrelli, che all’apparire della “Duomo Connection”, scoperchiata da Ilda Boccassini, si affrettò a dichiarare che l’allora Sindaco di Milano, Paolo Pillitteri era parte offesa, affermando (sic!) che “a Milano la mafia non esisteva!”. Per poi venire smentito dalla storia e dalle migliaia di indagini e sentenze emesse negli ultimi 35 anni.
Oggi Paolo Storari è come Ilda Boccassini. Ha scoperchiato il vaso di Pandora.
C’è una guerra per bande all’interno della magistratura come tra i primi abbiamo sempre coraggiosamente denunciato dalle colonne de la Voce di Robin Hood e nelle pionieristiche denunce rimaste inascoltate dalle procure di Milano e Brescia, per oltre 40 anni.
L’attuale tentativo di delegittimazione di Paolo Storari assomiglia in tutto e per tutto a quello posto in essere dall’ex Procuratore Borrelli nei confronti di Ilda Boccassini. Così come accadde anche per Giovanni Falcone, Agostino Cordova e Luigi De Magistris. Chi indaga sulla commistione tra logge massoniche, magistratura, politica, affari e poteri deviati dello Stato deve essere messo a tacere ad ogni costo.
Per questo auspichiamo che Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, non rinunci alla guida della Procura di Milano, invitandolo a tornare sui suoi passi e riconsiderare la sua candidatura, avendo maturato una enorme esperienza sulle infiltrazioni mafiose al Nord e in Expo 2015.
Per questo auspichiamo che in risposta alle vergognose richieste del P.G. della Cassazione arrivino altre migliaia di firme alla “lettera di solidarietà” a Paolo Storari, sia da parte dei magistrati onesti sparsi in tutta Italia (al momento firmata da circa 100 magistrati milanesi), sia da parte di operatori di giustizia, avvocati, giornalisti, imprenditori e cittadini comuni che credono nei valori della legalità e di una giustizia uguale per tutti.
Se il C.S.M. volesse dimostrare che i metodi del “Sistema” denunciati da Luca Palamara sono davvero superati non dovrebbe avere remore ad invitare Nicola Gratteri a prendere le redini della Procura di Milano, ormai divenuta un “porto delle nebbie”, come Brescia. Un procuratore che ha messo in luce come la ‘ndrangheta sia riuscita ad entrare negli appalti della Tav, dell’alta velocità, dell’Autostrada del Sole, nel terremoto de L’Aquila”, affermando egli stesso in una recente intervista che “noi proprio come procura abbiamo inviato gli atti a Milano, con le intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva proprio che queste organizzazioni della ‘ndrangheta stavano effettuando dei lavori soprattutto nella parte principale dell’Expo”. “Sostanzialmente loro lavoravano sotto soglia, sotto i 600mila euro e quindi sotto quella soglia non c’era il controllo o il controllo era blando”, ha proseguito Nicola Gratteri spiegando come la ‘ndrangheta sia riuscita a inserirsi nelle opere di Expo, nonostante fossero controllate…”
Ridurre i nodi di una giustizia malata nelle mani dei poteri economici forti e delle massomafie che controllano il territorio a “se Storari abbia sbagliato a cercare di “autotutelarsi”, consegnando i verbali degli interrogatori dell’Avv. Amara all’allora consigliere del C.S.M. Piercamillo Davigo”, non può che apparire a chi abbia senso critico e cognizione delle croniche disfunzioni del sistema giudiziario, da oltre 50 anni, un tentativo ridicolo di sovvertire l’ordine dei problemi, affinché nulla cambi e la corruzione imperversi, senza che nessuno faccia nulla. A partire dalle più alte cariche dello Stato.
Chissà cosa ne pensano la neo Ministra Cartabia e il Presidente Draghi?