All’origine della prevaricazione dei diritti umani.
(seguito dal n. 3 del 2007)
L’ERA DEL BRONZO (parte prima)
di Lavinia Greenwell
“…Zeus Padre una terza stirpe di gente mortale
fece, di bronzo, in nulla simile a quella d’argento,
nata da frassini, potente e terribile: loro di Ares
avevano care le opere dolorose e la violenza, né pane
mangiavano, ma d’adamante avevano l’intrepido cuore,
tremendi; grande era il loro vigore e braccia invicibili
dalle spalle spuntavano sulle membra possenti;
di bronzo eran le armi e di bronzo le case,
col bronzo lavoravano perché il nero ferro non c’era.
E costoro, dalle loro proprie mani distrutti
partirono per la tenebrosa dimora di gelido Ade,
senza fama; la nera morte per quanto temibile
li prese e lasciarono la splendente luce del sole.”
Esiodo Opere e Giorni
Dvapara Yuga o Età dell’Indecisione per gli Indù, Era del Bronzo per i Greci e i Romani, durante questa terza era il Bisonte posto a ovest per trattenere le acque della distruzione, secondo i Sioux, si sarebbe retto su due zampe, avendone perse ora due, così come il Toro Dharma (la legge divina) della tradizione Indù.
Narra la leggenda che gli uomini si risvegliarono dallo stato di letargia che li aveva caratterizzati nell’era precedente e decisero di rivendicare se stessi e il proprio potere maschile attraverso la forza e la violenza.
Imposero così il concetto di proprietà, su terra, animali, donne e bambini.
La Poligamia sacra dell’era dell’Argento, con la sua visione dell’amore come qualcosa che non può essere posseduto, come una forza divina che non può essere limitata al legame tra due esseri umani soltanto, e quindi non può che essere estesa a tutte le sue forme, ovvero al cosmo intero, si estinse.
Questo Amore naturale esteso, caratteristico ormai principalmente delle femmine e della Natura, e che precedentemente era sempre stato assolutamente libero, non limitato in maniera alcuno, iniziò infatti ad essere visto come qualcosa da guardare con sospetto, da limitare e possedere, e infine, nelle sue manifestazioni più sensuali, come qualcosa, persino, di sporco o indecente da reprimere completamente.
La visione antica di Dee e Dei, che prima derivava dal reale contatto con Essi, si trasformò gradualmente in leggenda, in mito, in favola. Gli uomini per primi, e poi gradualmente anche la maggioranza delle donne, iniziarono ad allontanarsi sempre di più dall’armonia che derivava dal contatto con la divinità e così tutte le leggende, i miti e le favole inspirate alle visioni del divino provenienti dall’Era dell’Oro e dell’Argento, furono nell’era del Bronzo distorte e modificate, allontanate dai significati originali, in contrasto con i nuovi ideali, per essere adattate ad essi, pur senza distruggere totalmente le tradizioni e le rimanenze delle civiltà matriarcali preesistenti, dal momento che ciò non sarebbe stato tollerato dai popoli nativi che, seppure vinti e più o meno gradualmente messi a tacere con la forza, erano inizialmente ancora troppo ancorati alle concezioni e ai costumi originari.
E’ per esempio possibile osservare chiaramente il passaggio dall’era dell’Argento all’era del Bronzo in Grecia.
Intorno al 1400 a.C. le popolazioni nomadi guerriere degli Achei, governate da un regime patriarcale, invasero Creta, meravigliosa civiltà matriarcale incentrata sul culto della Dea Madre, e s’imposero su di essa. Le donne furono costrette a prendere marito, l’intera antica visione religiosa originaria fu gradualmente distorta e modificata, fino a cancellare od occultare al punto da renderle quasi irriconoscibili, le tracce che avrebbero potuto ricondurre al senso sacro delle origini di essa.
Ciò che è oggi nota come l’antica religione politeistica greca dunque, è in realtà una distorsione di quella originaria ed autentica dell’antica Creta ed un mescolamento di essa con quella degli Achei.
Così Zeus, Dio maschio (non androgino) introdotto a Creta dagli Achei (la cui moglie, vivente nella sua ombra, era originariamente Dione) diventa sovrano dell’Olimpo, ed Era, l’antica Dea Madre, viene ad essere sua moglie, seppure riluttante alle nozze come menzionato in uno degli inni Omerici, forse simbolicamente a confermare che la civiltà cretese autoctona fu sopraffatta contro il suo volere. Infatti la Grande Dea apateira, originaria Signora androgina dell’Universo, Dea senza padre, Madre e Padre Lei stessa del Tutto infinito, non era mai stata soggetta al giogo del matrimonio, in quanto Vergine e al contempo Amante di tutte le forme di vita da Lei create. Tale giogo matrimoniale Ella aveva sempre sdegnato, gelosa custode della sua libertà d’Amore, in quanto qualsiasi limitazione su tale Amore senza confini avrebbe fatto sì che esso smettesse di essere sacro, divino e lo avrebbe reso umano, ovvero caduco e non più immortale, e ciò avrebbe comportato la caduta della Dea stessa dalle dimensioni divine, la fine della sua immortalità e sacralità, infine la trasformazione di Essa in una donna mortale, soggetta al dolore e alla morte, così come alla nascita, incarnazione dopo incarnazione, ciò che gli Indù definiscono il giogo della ruota Karmica.
Ciò fu in effetti quello che accadde alle antiche donne cretesi. Il giogo del matrimonio su di loro imposto significò spesso soccombere al giogo di ciò che era in loro mortale, perdendo la propria sacralità, la propria divinità interiore, che aveva loro permesso di esse connesse alle infinite Realtà dell’antica Dea Androgina, Grembo a cui affluiscono le anime dopo la morte, per essere riassorbite e riportate da Lei in seguito alla luce della vita, fino a che il ciclo di divenire, di incessabile incarnazione e disincarnazione non sia spezzato. Le donne, attraverso il matrimonio, ovvero il contatto sessuale, con uomini non più sacri e incapaci di intendere il sacro nella loro intimità, persero il centro di loro stesse, ciò che aveva loro permesso il contatto con le infinite Realtà d’Amore del Dio-Dea Sole che si espande e riversa la Sua luce ovunque, incondizionatamente, Dea Luna, che ciclicamente si svuota e ancora si riempie, fino a contenere e riflettere completamente in Se Stessa e attraverso Se Stessa l’immensa energia creativa e vivificante del Sole, archetipo del maschile positivo perduto, ma anche del femminile in quanto androgino, e che infatti svariate popolazioni arcaiche descrissero come una Dea, confermandone la valenza androgina di pienezza solare.
Quando gli Achei presero il sopravvento su Creta, la religione, originariamente (ed etimologicamente) mezzo per ricongiungersi al divino (come delineato negli articoli precedenti) divenne mito, un qualcosa di non più reale, almeno a livello sociale, in quanto non aveva più tale potere, nonché uno strumento per controllare e riflettere le nuove leggi della nuova società patriarcale. Così, una volta avvenuta l’irrimediabile frattura, a causa della prevaricazione di un principio maschile divenuto volgare e violento, sul Femminile sacro, una volta avvenuto il decisivo distacco dal divino della società, non più dominata da Sacerdotesse ma da tiranni, fu possibile descrivere in qualsiasi modo fosse più conveniente al nuovo governo il mondo ormai inaccessibile del trascendente, e spiegare in qualsiasi modo ogni evento naturale in cui le antiche Sacerdotesse avrebbero saputo leggere segni celesti. Così la religione divenne una favola, differente a seconda dei popoli, modificata ed allontanata sempre di più dalla sua matrice originaria, modellata per meglio riflettere il nuovo ordinamento sociale, nonché un mezzo per rendere la tirannia più radicata, mascherandola sotto un velo di solenne e di “sacro”, seppure nulla vi può essere di sacro in un governo tirannico o in una favola che non ha più contatto alcuno con i mondi del Vero.
Così i nuovi Greci vollero Zeus come Signore e Padre dell’Universo, un Dio maschio e unicamente maschio, mettendo Era al suo fianco come gelosa sposa, costringendola alla monogamia matrimoniale. Una netta divisione tra maschile e femminile fu dunque introdotta anche nella visione religiosa. L’androginia divina primordiale smise di essere un traguardo da raggiungere attraverso l’iniziazione, sia maschile che femminile, ma divenne anzi qualcosa da evitare. Qualcosa di ridicolo per gli uomini e di pericoloso per le donne, dal momento che una donna che avesse mostrato di possedere entrambe le nature e la libertà da esse derivanti sarebbe stata presa di mira, calugnata ed attaccata per via della capacità di discernimento e delle scelte (se fatte apertamente) che da tale doppia natura sarebbero derivate, così come accadde per le Amazzoni, di cui si parlerà più avanti, di cui si dissero e scrissero menzogne che riflettevano la misoginia e la paura che gli uomini avevano di esse, e che tuttavia poterono proteggersi per lungo tempo perché non rimasero isolate le une dalle altre ma si organizzarono invece in gruppi armati, anche se poi il patriarcato, alla fine dell’era del Bronzo, finì per prendere il sopravvento totale sul mondo.
Il nuovo modello di donna divenne dunque quello di una donna remissiva e sottomessa al volere del maschio, fosse esso padre, fratello o marito.
In questa era quindi gli uomini si imposero per la prima volta come padroni della società di appartenenza. Padroni della terra, dei fiumi, dei laghi, degli animali, della nuova famiglia patriarcale, dei bambini, delle donne, degli schiavi in cui furono trasformate le genti delle popolazioni assoggettate, e di qualsiasi cosa che potesse essere, ai loro occhi, posseduto.
Un fenomeno analogo a quello dell’invasione Achea a Creta si svolse in India per opera degli Ari che soppiantarono la precedente civiltà Mohenjo-daro, ancora legata ai culti della Dea Madre, intorno al 1700 a.C.
Nel Mabinogi, a proposito del passaggio dell’Era dell’Argento all’Era del bronzo in Irlanda, si narra in forma di leggenda di Vecchie Tribù e di Nuove Tribù, le quali istituirono il matrimonio, il possesso sulla terra, la famiglia patriarcale, e mentre le Vecchie Tribù erano governate da Regine, le Nuove erano governate da Re, che solo inizialmente trassero il diritto al governo da una Dea del territorio.
Le Nuove Tribù introdussero anche la monogamia e la famiglia patriarcale.
Questo passaggio trova diverse tracce storiche ed avvenne sia in Europa, che nel Medio Oriente e in India quando i popoli guerrieri indoeuropei a regime patriarcali invasero le popolazioni autoctone, mescolandosi ad esse e gradualmente imponendo sempre di più il proprio potere, fino ad allontanarle completamente dalle loro origini matriarcali, e fino a che il senso originario dei miti, delle leggende, delle fiabe, non fu perduto, tanto essere furono modificate e distorte. Da tali mescolamenti nacquero tutte le popolazioni europee e non che da cui derivano quelle moderne, e di cui si hanno numerose tracce storiche, come per esempio i greci, della cui civiltà il tanto ammirato apogeo corrisponderebbe al quinto secolo a.C., che coincide anche con il periodo in cui la misoginia ateniese raggiunse i suoi apici, tanto che le donne erano segregate nel retro delle case, che potevano abbandonare solo nel giorno del loro matrimonio.
A questo proposito Eva Keuls, nel suo libro Il Regno della Fallocrazia analizza Atene dal 480 a.C., quando, con la battaglia di Salamina, essa impose il suo dominio sulla Grecia. Secondo Keuls, lo “sviluppo” di Atene si sarebbe basato sullo sterminio dei nemici e del mondo animale e vegetale, e sulla violenza, lo sterminio e lo stupro nei confronti delle donne che vollero ribellarsi.
Inoltre ella sostiene la teoria, già accennata precedentemente, secondo cui gli attributi delle divinità femminili, al contrario di quelli delle maschili, furono scisse in ruoli limitati che dovevano essere ricoperti da differenti Dee, divise le une dalle altre.
L’Era del Bronzo è l’Era delle guerre, della violenza, dell’usurpazione, della lotta per il potere, per il possesso, per la fama, per il riconoscimento, tutti principi estranei alle armoniose ere precedenti.
E’ l’era dei massacri, dei massacratori ma anche in certi casi dei Guerrieri, in quanto forse alcuni uomini in questi Tempi trovarono una via a loro congeniale per ricongiungersi al loro archetipo divino maschile, rappresentato forse da Dei quali Marte o Ares, attraverso il furore del Guerriero. Essi furono probabilmente, per esempio, gli uomini che combatterono le Guerre per la Libertà, per l’Armonia, ovvero per impedire che le loro genti venissero assoggettate, le donne violentate e rese schiave, i bambini rapiti e cresciuti in regimi di violenza, ovvero per difendere il proprio clan, tribù o gruppo di appartenenza dalla violenza e dall’orrore di quei popoli assetati di potere e dal desiderio di espandere i loro domini e la loro tirannia.
l’Era del Bronzo dunque, fu anche probabilmente l’era in cui nacquero le vie di iniziazione maschili.
Tracce scritte di tali vie ascetiche sono numerose e testimoniano che, al contrario di quelle femminili, esse prescindevano quasi sempre, a parte rare eccezioni di cui già accennato, dalla sfera delle emozioni e della sensualità.
Alcune di esse furono Vie di Guerra, che però sarebbe bene distinguere nel modo più assoluto dai massacri dettati dalla violenza e dalla sete di potere che caratterizzarono l’Era del Bronzo.
Si può supporre che tali Vie di Guerra avessero che fare con l’uso della guerra tra uomini, quasi come un gioco. Un Gioco Sacro, che forse permetteva al Guerriero di mettere alla prova il proprio coraggio, la capacità di distaccarsi dal dolore e dalla paura, dall’attaccamento al proprio corpo e alla vita fisica, con gioia infinita, con furia sacra, con lo slancio necessario per spingersi oltre i limiti umani per raggiungere la parte più reale di sé, la vita come un arco, l’anima come un dardo, il bersaglio da trafiggere: lo spirito assoluto.
Un Guerriero spinto da onore e gioia dunque, e dal desiderio di trascendere se stesso, anziché dal pathos che caratterizzava l’orgoglio, l’arroganza, la rabbia, l’odio, la violenza assassina, la misoginia, il desiderio di usurpazione, di prevaricazione e di dominio del massacratore, dell’ uomo decaduto, tanto lontano dall’archetipo solare maschile, così come lontana è la vana polvere dal Sole imperituro.
Fu forse dunque per i motivi sopra menzionati che i guerrieri di diverse popolazioni aborigene Nord Americane si davano guerra gli uni con gli altri senza apparente ragione.
Simili forse a tali Guerre-Gioco nel principio ispiratore potrebbero essere i Riti del Sole, noto metodo iniziatico sempre tra in Nativi Nordamericani, praticati sia dagli aspiranti Sciamani che dai Guerrieri, e che prevedevano il distacco dal dolore, portato ai livelli più estremi, per indurre al distacco dell’anima dal corpo, ovvero alla Visione e al ritrovamento di una dimensione trascendente. Attraverso lacci di cuoio che venivano fatti passare attraverso la pelle del petto, l’Iniziando veniva appeso per lungo tempo al Palo che rappresentava l’albero cosmico; ovvero ad esso connesso tramite tali lacci, egli doveva danzare intorno al Palo fino a che non avesse realizzato il distacco dal corpo fisico e il raggiungimento di una Realtà più alta. Tali pratiche potevano comportare pericolo, nel senso moderno in cui tale vocabolo è inteso, poiché esse avrebbero potuto costituire il distacco definitivo dell’anima dal corpo, ovvero la morte fisica. D’altra parte, alla luce del fatto che tali uomini arcaici non credevano nella morte come essa è oggi intesa, ovvero credevano (o forse sapevano) che chi avesse perduto la vita fisica in modo onorevole, cercando di dare alla propria vita uno scopo divino, avrebbe trovato più grande Fortuna in altre dimensioni o nella successiva incarnazione, si potrebbe comprendere che per tali uomini il vero pericolo era una vita solo in funzione della dimensione materiale, e che l’unica morte da temere era la morte dell’anima allo Spirito, per contro tanto diffusa, in quest’ottica, nel mondo presente.
In Oriente vi furono poi tecniche ascetiche basate sulla ricercata e voluta rinuncia di ogni bene e piacere materiale, sull’isolamento dal mondo esteriore e soprattutto su pratiche respiratorie che permettevano all’iniziando di purificarsi attraverso un uso particolare del respiro, tramite cui era possibile raggiungere il nucleo vitale celato negli antri più segreti del proprio essere, ripulirlo fino a renderlo più leggero dell’aria stessa, fino a liberarlo dalla prigione oscura della materia, e innalzarlo in altre dimensioni.
A questo proposito si confronti, -a parte certo le innumerevoli fonti provenienti dall’Oriente- Poemetto Alchemico, con commento e note a cura di Davide Melzi, Ed. Terra di Mezzo
Tanto vaste e numerose sono le tracce lasciate dalle Vie d’Iniziazione Maschile tuttavia, che non si ritiene possibile né necessario approfondirle in questa sede, e si lascerà quindi l’approfondimento di questo argomento al lettore che di ciò abbia interesse.
Si vorrebbe però specificare che le Vie di ascesi maschili, fino a che esse furono autentiche, furono precluse alle donne, così come quelle femminili agli uomini, e non per motivi di misoginia, come si volle supporre in seguito, o forse come in seguito fu, quando tali vie smisero di essere realmente vie iniziatiche, ma solo un altro mezzo che gli uomini utilizzarono per ergersi in posizioni di potere o per gonfiare il senso del proprio ego e la propria presunzione. Il motivo per cui le vie maschili erano precluse alle donne e quelle femminili agli uomini fu sempre, come si è già specificato negli articoli precedenti, che le energie da risvegliare in uomini e donne erano completamente differenti, a parte come si è detto, nel caso delle rarissime eccezioni di cui si è già accennato.
Parte seconda.
Le donne che ancora desideravano rimanere fedeli alla propria antica religione ebbero nell’Era del Bronzo ancora la possibilità di riunirsi, seppure l’iniziazione femminile venne occultata dal più assoluto segreto, la rottura del quale avrebbe significato perdere la benevolenza e il contatto con la Dea, e incorrere in disgrazia.
Fu tuttavia durante questa era che il potere delle donne venne rotto. L’antica sorellanza venne frammentata, le donne divise le une dalle altre, assoggettate all’uomo con la forza, l’uomo, e soltanto l’uomo, fu imposto al centro del loro mondo, l’uomo a cui obbedire, l’uomo da accudire, l’uomo come unico oggetto di desiderio, il figlio maschio da preferire, da servire, e così le donne smisero di essere sorelle, di essere punto di riferimento le une delle altre, il mezzo in cui ritrovare il centro di se stesse, gli specchi in cui riflettersi, la via in cui ritrovare la coralità, il riso, la gioia, la sensualità e i Riti amorosi che le avrebbero riconnesse alla loro Antica Dea.
Così frammentata fu anche la Dea nella nuova visione religiosa. Ella infatti, come già citato nell’articolo precedente, smise di essere la Dea multiforme, Signora della nascita come della morte, Madre e Bambina, Vergine e Amante, e via dicendo, e fu divisa nei suoi più svariati ruoli, in Dee differenti che furono descritte anche in certi casi come nemiche e gelose le une delle altre, e non invece come semplicemente forme apparentemente diverse della stessa cosa, Sorelle che mai l’amore per un uomo o per un Dio avrebbe potuto dividere, dato che sarebbe stato l’amore per l’uomo o Dio in questione ad essere condiviso, come ogni altra cosa, dalle Sorelle sacre, in terra come nelle sfere celesti.
Così come l’attitudine degli uomini cambiò nei confronti del femminile, essa cambiò come già accennato, anche nei confronti della natura. A questa era risalgono i sacrifici di animali, impensabili nell’era precedente in quanto gli animali, essendo manifestazioni e figli della Dea, erano considerati sacri. Ciò riflette il significativo cambiamento di attitudine nei confronti della Divinità, nonché certamente la perdita di contatto con essa, dal momento che uomini con essa in contatto avrebbero saputo che certamente gli Dei avrebbero trovato abominevole lo spargimento di sangue dei loro figli animali come offerta.
“…Quando non si osava neppure gustare la carne di bue, e agli Dei non si offrivano in sacrificio animali, ma focacce e frutti intrisi di miele e altre analoghe pure offerte, e ci si asteneva dalle carni perché si riteneva che non fosse conforme alla legge divina mangiarne e contaminare di sangue l’altare degli Dei…” Scrive Platone nelle Leggi.
Il mondo divenne antropocentrico, gli uomini non videro più nella Natura selvaggia ed incontaminata una Dolce Madre da venerare e custodire, da onorare per i suoi innumerevoli doni, ma bensì come qualcosa da usare, sfruttare e possedere.
“..l’atteggiamento sostanzialmente antitetico dei due mondi religiosi, il preellenico e l’ellenico, di fronte alla natura. Mentre il Mediterraneo ignorava l’orgoglio dell’assoluta superiorità e sovranità dell’uomo su tutti gli altri regni, ma si uguagliava ad essi, tutti ponendoli al medesimo livello e facendoli fluire l’uno nell’altro quasi insensibilmente, poiché nessuna insuperabile barriera opponeva a reciproci scambi e passaggi, per il Greco invece i vari regni della natura serbavano la loro inconfondibile autonomia e tanto più la serbava di fronte ad essi l’uomo, che se ne riteneva il signore. Le conseguenze di tali contrastanti posizioni sono chiare. Se per il Mediterraneo le metamorfosi nel mondo divino appartenevano a manifestazioni naturali dell’attività di questo onde la Potnia, ad esempio, acconto alla propria epifania antropomorfa, poteva liberamente assumere.. epifanie arboree o animali o lignee o lapidee, tutte contemporaneamente e con uguali diritti rappresentanti la divinità nella pienezza de’ suoi attributi, l’Elleno teoricamente non riconosceva che una sola epifania degna di quella, la epifania antropomorfa…”
Miti della donna-giardino, Da Iside alla Sulamita, Uberto Pestalozza, Ed. Medusa, Milano, 1991
Le donne che vollero rimanere fedeli alla Dea, ovvero mantenere intatto il proprio potere, la purezza magica definita precedentemente “Verginità”, nel senso già citato, dovettero necessariamente allontanarsi dall’uomo, e soprattutto da contatti intimi con esso che sarebbero stati contaminanti e avrebbero leso la propria intima sacralità e capacità di riunirsi attraverso di essa a dimensioni divine, al contrario di quanto era accaduto in ere precedenti in cui tutti gli uomini e successivamente parte di essi, erano stati ancora in grado di percepire il sacro nella donna come nella natura.
A questo proposito Robins Dexter sostiene che la castità, ovvero il rimanere nubili, nelle società a regime patriarcale indo-europee, greche, romane, celtiche, germaniche, indiane ed iraniane tra il 2000 a.C. e il 500 d.C., divenne una forma di resistenza di quelle donne che volessero mantenersi autonome dal dominio maschile.
Tuttavia, poiché in quest’era sanguinaria la violenza sessuale era diffusa, sarebbe stato difficile mantenere intatta la propria intima armonia interiore anche per coloro che lo avessero voluto, e forse questa fu una delle ragioni che spinsero alcuni gruppi di donne a riunirsi in comunità armate, trasferendosi in luoghi naturali insidiosi che avrebbero favorito il loro isolamento dal resto dalle società dominate dagli uomini, offrendo loro vantaggio in caso di attacco da parte dei guerrieri di quest’ultime.
Tali comunità di Donne Guerriere decisero di continuare a vivere come le loro ave e di combattere contro coloro che avrebbero voluto impedirlo, mantenendo intatta la loro magica purezza, il centro luminoso attraverso cui erano ancora in grado di riunirsi alla Dea, distaccandosi forse dal corpo e volando verso la Luna Madre. Da questo concetto derivano probabilmente le raffigurazioni risalenti a tempi successivi delle Streghe che volano su manici di scopa verso la Luna, Streghe i cui riti sarebbero risaliti all’era dell’Argento e sopravvissuti anche grazie a tali schiere di guerriere che continuarono l’antica linea iniziatica, nonché di quei gruppi di Donne che continuarono ad operare in segreto, fingendo di essere ciò che gli uomini avevano imposto.
Alcune di tali schiere di guerriere, descritte tra storia e leggenda, tra leggenda e mito, furono per esempio le Amazzoni, in Grecia, o le Valchirie, in Scandinavia. Esse erano credute invincibili e spietate, spesso più temute dei guerrieri uomini, tanto che per esempio le Amazzoni divennero per esempio un ostacolo che ogni guerriero di valore avrebbe dovuto superare per considerarsi tale.
Tuttavia alcune leggende narrano che ciò che rendeva così potenti, ad esempio le Valchirie, era Freya, la Dea dell’Amore, la quale le guidava e le rendeva invincibili e inattaccabili da qualsiasi miseria o arma umana.
Questo potrebbe forse mostrare che le vie attraverso cui raggiungevano dimensioni trascendenti, non erano vie di Guerra, come per gli uomini Guerrieri di cui sopra accennato, ma piuttosto vie d’amore, che le arti della guerra dovevano proteggere da chi avrebbe voluto proibirle, e forse rendere degne di esse coloro che avessero voluto ancora ricercarle in tali tempi di violenza e pericolo.
In Res gestae Alexandri Magni, Giulio Valerio narra che quando Alessandro Magno scrisse alle Amazzoni per comunicare loro che non desiderava attaccarlo, esse risposero: “O Re, è segno di fiducia ovvero di libertà scriverti come stanno tutte le cose presso di noi. Non perché alcun sospetto detragga fede ai tuoi scritti, ma noi vogliamo che tu conosca più chiaramente anche qual prezzo dell’opera ricavino tutti coloro che con sentimenti ostili intendono marciare contro di noi. Giacchè riteniamo essere tendenza generale degli uomini, quando stanno per osare un’impresa dubbia, il non dover osservare altra cosa prima che il vantaggio ch’essi ne ritrarranno. Sappi dunque che noi abitiamo in mezzo ai fiumi; tutto il luogo ove dimoriamo è circondato dal Maconico; in tale regione siamo raccolte in numero di duecentomila donne, senza il minimo rapporto con uomini. Ovunque noi dobbiamo andare a combattere ventimila di noi rimangono a difesa in casa e nella patria, le altre impugnano le armi e quando ritornano è costume nostro onorarle in proporzione delle ferite ricevute. Non abbiamo né oro né argento se non quello che è cesellato nelle insegne militari. Dato ciò, scrivane che cosa tu preferisca: poiché, se tu la pensi altrimenti, ci coglierai schierate in ordine di battaglia lungo il fiume”
Vi sono svariate teorie a proposito delle derivazioni etimologiche della parola ‘Amazzone’. Nel Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani l’etimologia di questa parola viene fatta derivare dall’alfa privativo greco a-, a significare ‘senza’ e dal vocabolo zendo mas’ya ed dall’ illirico maz, ‘uomo’, con il significato di ‘senza uomo’. Si dice anche che la parole Amazzone potrebbe derivare da ama-zoon, ‘vivere insieme’. C’è poi chi afferma che essa derivi da a-mazos, ‘senza seno’. Questo potrebbe essere ricondotto alla leggenda secondo cui le Amazzoni si tagliassero un seno per meglio utilizzare arco e frecce, anche se in realtà nessuna delle raffigurazioni rimaste di esse le dipinge senza seno.
Graves invece fa discendere questa parola da un vocabolo armeno che significa ‘donna-luna’, sostenendo che le schiere delle Amazzoni fossero per molti aspetti simili alle schiere armate delle Sacerdotesse della Luna, abitanti delle rive sud-orientali del Mar Nero. I miti greci, Robert Graves, Ed. Longanesi & C., Milano 1991
Esse furono anche dette antianeirai, che significa ‘uguali ai maschi’ e al contempo ‘nemiche dei maschi’.
Gli Sciti le definirono ‘coloro che uccidono gli uomini’, anche se poi si sposarono con i più giovani di essi e formarono con loro il popolo dei Sauromati, ma solo dopo che i giovani sposi avessero acconsentito di abbandonare i propri antenati e le leggi patriarcali vigenti tra gli Sciti, per abbracciare quelle matriarcali vigenti tra le Amazzoni. Il fatto che poi sposarono gli uomini più giovani potrebbe forse indicare che esse scelsero quelli che erano interiormente ancora puri e quindi non contaminanti, non assetati dal desiderio di potere e di dominio, a differenza dei propri padri.
Altri gruppi di donne che rimasero fedeli agli antichi riti di gioia risalenti all’Era dell’Argento, di cui si è già accennato negli articoli precedenti, furono per esempio le Baccanti e le Menadi, parola derivante dal verbo greco mainomai, da cui la parola mania, la follia sacra che permetteva di spingersi oltre i limiti meramente umani per raggiungere dimensioni estatiche trascendenti.
In un testo come Le Baccanti di Euripide, potrebbe essere interessante notare il conflitto e la lontananza che in ere in cui il patriarcato aveva ormai preso piede, avrebbe potuto esistere tra legge umana e legge divina, ovvero tra parte umana e parte divina in una donna che avesse deciso di seguire il richiamo di un Dio quale Bacco e di unirsi a una delle congregazione di antiche sorelle, le quali si ritrovavano a correre sui monti per inebriarsi e praticare i segreti Riti Bacchici, rigorosamente vietati agli uomini. In questa nota tragedia la Regina si dispera rendendosi conto, una volta ritornata nella se stessa umana, e quindi in una mente regolata dalla normale umana percezione di giusto ed errato, di bene e di male, di avere ucciso il figlio, il quale aveva osato spiare Lei e le sue Compagne durante i Riti segreti, travolte da ebbrezza sacra, e quindi guidate dal volere divino, ormai così distante da quello della legge umana delle nuove società patriarcali, in cui il sacro e la difesa di esso non era più affatto la priorità assoluta.
Tale follia sacra era anche diffusa in India tra i Bhakta, che veneravano il Dio Shiva.
“…In India, i bhakta sono i seguaci del Dio, di cui alcuni praticano le forme di devozione più estreme: lasciano averi e famiglia, vagano sulle strade, danzano danze estatiche e cantano inni appassionati in cui l’amore umano e l’amore divino si confondono.. Quando il bhakta è in stato d’estasi, il suo spirito abbandona il corpo. Intuisce il pensiero degli esseri semidivini e degli animali feroci. Non vi sono differenze tra le concezioni e le pratiche dei bhakta sivaiti e quelle delle baccanti dionisiaci” Siva e Dioniso, La Religione della Natura e dell’Eros, Alain Daniélou, Ed. Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980
Scrive Leda Barnè in Le Vergini Arcaiche op.cit.: ” …E allora le donne diventano snaturate, povere, deboli, incapaci di vedere e di sentire, e quindi per questo motivo, sempre più succubi del maschio profano, poiché lo scambiano, lo sentono e lo riconoscono come guida, difensore, saggio e quindi padrone. Ovvero stando vicino ad una persona che vive in funzione di esigenze normali, che ha obbiettivi esistenziali normali, che ama e cerca cose normali, smettono di cercare la sacralità femminile e diventano euguali al loro compagno.” pp.137
“…Le donne delle Ere della decadenza non seppero o non vollero più, pian piano, proteggersi da uomini divenuti impuri, ovvero non più trascendenti, non più in sintonia con le antiche Leggi della Natura e violando i loro sacri tabù persero la magica capacità di emanazione che le contraddistingueva. Se nei tempi arcaici era probabilmente il gruppo delle donne assieme a scegliere con discernimento gli uomini degni ed armonici e ad allontanare con orrore gli altri, difendendo la loro sintonia con la Dea e la loro forza, come testimoniano quelle usanze che attribuivano a collegi femminili il potere di scegliere e controllare il Re, gradualmente di tale capacità e potere rimasero solo tracce formali e svuotate del loro senso più profondo e reale.” pp.138
“…Ci si può chiedere come sia stato possibile che le donne abbiano potuto dimenticare la potente gioia data dallo stare insieme, che permetteva loro di andare oltre se stesse. Si può ipotizzare che gradualmente, essendo sempre più in contrasto con ciò che avveniva nella società, l’antico ideale di armonia e di libertà divenne via via più irraggiungibile ed incomprensibile.
Probabilmente le donne cominciarono a dare grande importanza agli accadimenti della propria vita, a desiderare di ritagliarsi degli spazi personali, a pensare di dover difendere da sguardi e interessi altrui le proprie piccole cose.
Quando una donna, facente parte di una sorellanza, inizia a trovare auspicabile e legittimo mantenere qualcosa solo per sé, qualcosa di personale, di soltanto suo, qualcosa che nei tempi moderni può essere indifferentemente una casa, un uomo, un lavoro, dei figli, dei gioielli, degli abiti, delle concezioni esistenziali, delle prassi comportamentali o delle abitudini, forse comincia a perdere il desiderio e soprattutto la possibilità di una reale unione corale. Ciò che diventa strettamente personale smette di essere condivisibile e così le altre donne diventano, nei confronti del possesso e della custodia di ciò che è considerato come proprio, una minaccia, cioè delle persone dall’invasione delle quali occorre difendersi. Si desidera distinguersi, divenire uniche, speciali, particolari, senza accorgersi che si sta in questo modo perdendo un prezioso tesoro, ovvero la capacità di percepire in sé, come nelle altre, lo stesso amore e sentirsi parte di una stessa, unica realtà di gioia.
L’antico sguardo aperto che abbracciava tutte in una visione unica e di ampio respiro e che permetteva di cogliere la gioia della coralità, andò così probabilmente via via restringendosi, e l’attenzione di ognuna cominciò ad essere rivolta in primo luogo a se stessa, ai propri bisogni, ai propri umori, senza più considerare quelli dell’insieme. Il mondo personale divenne probabilmente per ciascuna il più intimo rifugio, il più reale, tranquillo e piacevole luogo in cui ritrovarsi, qualcosa di preferibile alla vita comune che diventava a questo punto una fatica, qualcosa di poco desiderabile da cui fuggire. Fino a decidere magari di abbandonare del tutto la dimensione corale per ritrovarsi ad essere libere di dedicarsi soltanto ai propri impegni, alla propria casa, al proprio uomo, ai propri figli, ed in definitiva a quella parte di se stesse che muore don la morte fisica.” pp.177-178
Si vorrebbe inoltre supporre che durante l’Era del Bronzo vi furono civiltà in cui per un certo periodo furono una mescolanza di patriarcato e matriarcato, come per esempio potrebbe essere stato per la società celtica, o per Sparta, od anche per alcune Tribù Aborigene dell’attuale Nord America.
Quando per esempio ad Atene la misoginia si avviava verso i suoi estremi, a Sparta le donne erano libere e parte della vita pubblica (tanto da potersi mostrare liberamente nude, qualora lo desiderassero), erano educate come gli uomini, le bambine e i bambini erano ancora cresciuti in comune, ed inoltre la poliandria era ammessa e le donne avevano il diritto di scegliersi il proprio marito, o i propri mariti, nonché amanti.
Tra i Celti invece, in epoca già patriarcale, il Re doveva trarre il suo potere dalla Regina delle Fate con cui doveva congiungersi in amore prima della sua incoronazione, così che Ella potesse legittimarla ed ogni anno doveva incontrarla nei pressi di una fonte.
Se aveva governato giustamente, rispettando la Madre Terra e le Donne sue Figlie, agendo mai spinto da egoismo ma sempre per il bene di tutta la comunità, egli presso la fonte, avrebbe incontrato ancora la Regina delle Fate nel suo aspetto di bellissima Fanciulla incantata e con Ella ancora si sarebbe congiunto, così che fosse confermata la benevolenza di Lei sul suo regno. Ma se invece si fosse comportato ingiustamente durante tutto l’anno, o in qualsiasi momento di esso, Ella si sarebbe mostrata a lui nella Sua forma terrifica di Guardiana dall’aspetto di vecchia spaventosa dai lineamenti grotteschi, e lo avrebbe bastonato con un bastone nodoso.
Inoltre, sempre tra i Celti, vi furono anche Regine Guerriere, e oltre al consiglio dei Druidi rigorosamente vietati alle donne, Sacerdotesse parte di gruppi iniziatici femminili rigorosamente vietati agli uomini, le quali pare avessero una grande influenza sulla comunità.
Tuttavia si potrebbe supporre che in seguito a ciò che fu rappresentato in certe leggende come la maledizione e/o scomparsa di certe Dee, dovuto ad atti di violenza e prepotenza da parte di Re o uomini in posizione di potere che crearono un’irrimediabile frattura tra di essi e la sfera del divino, anche in Irlanda e in tutte quelle parti del mondo in cui vi erano ancora echi e riflessi dell’armonia perduta tra maschile e femminile, prese completamente il sopravvento la supremazia maschile, che divenne sempre più assoluta e schiacciante, fino ad arrivare alla quarta ed ultima era dominata dal metallo più scadente dei quattro, il ferro, ovvero dal principio distruttivo maschile, in antitesi completa a quello solare divino.
Sul prossimo numero on line alla fine di giugno: “L’era oscura”.