LA PROCURA GENERALE DI SALERNO ACCOGLIE LE RICHIESTE DI ROBIN HOOD
Stamani la Procura Generale di Salerno ha reso noto al Movimento per la Giustizia Robin Hood – Avvocati senza Frontiere che il Procuratore e il P.M. di Vallo della Lucania, in accoglimento dell’istanza presentata dalla Associazione, costituita parte civile, hanno impugnato la sentenza di primo grado che pur condannando il primario e i medici, peraltro a pene del tutto miti, aveva incongruamente assolto gli infermieri per l’uso illegittimo della contenzione e trattamenti disumani assimilabili alla tortura, praticati nel lager psichiatrico di Vallo della Lucania.
«Si tratta di un risultato molto importante – commenta Pietro Palau Giovannetti (Presidente della Onlus), che oltre a rendere giustizia a Franco, almeno da morto, evidenzia quale ruolo possano svolgere le Associazioni nei processi e la pressione della Società Civile, per l’affermazione della legalità e del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
«L’impunità è sempre odiosa – denunciava l’Associazione alcuni giorni fa – ma lo è ancor di più quando la morte di una persona indifesa viene provocata mediante crudeli torture e la complicità di chi dovrebbe rappresentare la Pubblica Accusa, come nel caso di Mastrogiovanni e il pm Martuscelli, che ha cercato di minimizzare le responsabilità degli assassini».
«Ci siamo costituiti parte civile – proseguiva il comunicato – per impedire i soliti “inciuci giudiziari” e affermare la libertà di cure contro i TSO, tutelando l’interesse comune di potere accedere ad una giustizia giusta e uguale per tutti, inscindibilmente connesso alla più generale tutela del rispetto della persona umana, per cui nessuno può essere sottoposto a torture, tanto più in strutture sanitarie. Alla luce del tentativo di deviare il processo su un binario morto ci siamo posti come una spina nel fianco della Pubblica Accusa e ne abbiamo denunciato le deviazioni. Siamo così riusciti ad infondere coraggio e far luce sugli anomali comportamenti endoprocessuali e le frequentazioni del pm Martuscelli con taluni imputati (del caso se ne sta occupando il P.M. di Napoli)».
Alla luce di ciò è indubbio che il provvedimento del Procuratore e del pm di Vallo della Lucania costituiscano un’inversione di tendenza, che accoglie in pieno le istanze della Società Civile, aprendo nuove prospettive nell’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti umani sul terreno dell’uso della contenzione nei reparti psichiatrici e sul rapporto tra persona umana e istituzioni.
A riguardo, occorre ricordare, che l’impugnata sentenza, pur riconoscendo il ruolo propulsivo delle Associazioni, ha reso giustizia solo a metà, anche se ha avuto il pregio di spezzare il clima persecutorio nei confronti di Franco, anche da morto, senza essere in grado di far piena luce sulle pratiche medievalistiche che coinvolgevano il personale sanitario, invece incongruamente assolto, senza tenere conto delle palesi responsabilità e indifferenza degli infermieri, verso l’altrui atroce sofferenza, come risultanti provate dall’impianto accusatorio del P.M. Rotondo e dalle video-registrazioni, elementi inchiodanti che sono state incomprensibilmente ignorati.
A pag. 175 della sentenza si afferma infatti assurdamente che la condotta degli infermieri possa venire ricondotta all’art. 51 c. 3 c.p., ritenendo che gli imputati mandati assolti non avrebbero potuto accorgersi dell’illegittimità dell’ordine di contenzione e del suo ingiustificato prolungamento. Tale conclusione è assolutamente paradossale poiché si è omesso di cogliere che anche il personale infermieristico è portatore di una posizione di garanzia ex art. 40 c.p. nei confronti dei pazienti sottoposti alla loro cura e vigilanza e, pertanto, è da ritenersi pacificamente responsabile ogni qualvolta violi gli obblighi di legge.
Ci auguriamo quindi che le pene scandalosamente miti comminate nei confronti dei medici, verranno quantificate correttamente nel grado di appello, condannando anche gli infermieri, tenendo conto della notevole gravità e allarme sociale dei reati consumati in danno di Franco, per cui è configurabile il reato di “omicidio preterintenzionale”. Nel caso di specie sussiste infatti sia il cd. “animus laedendi“, stante che la contenzione è stata attuata senza cure sino alla morte sia il cd. “animus necandi” che significa che l’agente non deve agire necessariamente con dolo di omicidio, ricadendo altrimenti nell’ipotesi di cui all’art. 575 c.p., bensì basta la previsione della morte, previsione di certo percepibile dal personale medico e paramedico, ben a conoscenza dei possibili esiti fatali di un regime contenitivo prolungato senza mai slegare la vittima per oltre 3 gg., lasciandolo privo di alimentazione e di idonea idratazione.
Da qui il sospetto ben più grave che il cinico e vile omicidio preannunciato dallo stesso Franco – il quale era a tal punto consapevole della fine che lo attendeva che implorò: «Se mi portano a Vallo non ne esco vivo» – possa promanare da una preordinata “vendetta politica”, maturata negli ambiti dell’estrema destra, che forse non ha mai perdonato al maestro elementare la morte del missino Carlo Falvella dirigente del FUAN di Salerno e la sua fede anarchica che lo spingeva a continuare a ricercare la verità sulla strage di Piazza Fontana.
Venerdì 28 giugno, ore 17,30, a Salerno, presso il punto Einaudi, Piazzetta Barracano, adiacente Corso Vittorio Emanuele, si terrà il dibattito su “il caso Mastrogiovanni”, promosso dal Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni, con la partecipazione dell’Avv. Michele Capano, legale di parte civile della Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, Grazia Serra, Giuseppe Galzerano e Giuseppe Tarallo, Dott. P. Sangiorgio, Direttore UOSM Asl Roma H e Luigi Manconi, Presidente della Commissione Parlamentare sui Diritti Umani del Senato della Repubblica.
Per info: Segreteria Avvocati senza Frontiere 02/36582657 – 329/2158780
PROCESSO D’APPELLO MASTROGIOVANNI.
La banalità del bene e del male.
Per dire no alla tortura e alla contenzione psichiatrica.
Salerno, 16 maggio 2015
Nel tardo pomeriggio di ieri si è conclusa avanti la Corte d’Appello, l’udienza relativa al processo a carico di medici ed infermieri del famigerato lager psichiatrico San Luca di Vallo della Lucania.
Dopo la requisitoria del P.G. che ha richiesto la conferma della condanna del primario e dei medici con inasprimento delle pene comminate in primo grado, nonché la condanna anche del personale paramedico, è stato il turno dei legali di parte civile dei parenti della vittima e delle Associazioni (da “Telefono Viola” al “Movimento per la Giustizia Robin Hood” – “Avvocati senza Frontiere”), che hanno pronunciato le proprie arringhe e conclusioni.
Sono intervenuti l’Avv. Caterina Mastrogiovanni, cugina della vittima, i difensori della madre e della sorella Caterina e di altro paziente oggetto di contenzione illegittima, nonché i legali delle Associazioni costituite parti civili che associandosi alle richieste del P.G. di pene più severe per tutti gli imputati, hanno sottolineato trattarsi di vere e proprie torture e la banalità del male, paragonando l’atroce supplizio scientemente e barbaramente perpetrato nei confronti di Franco Mastrogiovanni e la generale indifferenza del personale medico e paramedico (in totale ben 18 imputati), ai crimini nazisti, a fronte dei quali i più alti gerarchi delle SS al processo di Noriberga, negando ogni propria responsabilità, si sono dichiarati “non colpevoli”, affermando di avere agito per ordini superiori. Ciò nonostante, ha fatto rilevare il legale di Avvocati senza Frontiere nella sua arringa, sono stati tutti condannati quali criminali, e altrettanto devono considerarsi tutti gli odierni imputati che hanno deliberatamente scelto di lasciare morire legato mani e piedi un paziente affidato alle loro cure, senza prestargli soccorso per oltre 4 giorni, nonostante le sue grida disperate di aiuto, perchè ha aggiunto il legale di Telefono Viola, oltre alla banalità del male, c’è anche la “banalità del bene”.
Cioè, la possibilità e il diritto-dovere per ogni uomo di ribellarsi ad ordini ingiusti contrari al senso di umanità e ai principi morali e di civiltà giuridica, come affermati dalla CEDU nella recente sentenza che ha condannato lo Stato Italiano per le torture perpetrate dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova.
Hannah Arendt che seguì le 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista), osservò che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, ne demoniaco ne mostruoso”. La percezione dell’autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consistette nell’organizzare la deportazione di milioni di ebrei. Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare. Proprio forse come il personale medico e paramedico di Vallo della Lucania.
Nel caso di specie, il Tribunale vallese come noto in parziale accoglimento delle molteplici censure, istanze e richieste delle parti civili costituite, nell’ambito del procedimento per la morte di Franco Mastrogiovanni, pur assolvendo gli infermieri, per avere agito per ordini superiori, ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti del Primario Barone Rocco e di 5 medici del Reparto, colpevoli dei reati ascritti, concedendo a tutti gli imputati le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate, unificati i reati ex art. 81 c.p. (Barone e Basso 4 anni di reclusione ciascuno, Di Genio 3 anni, mesi 6 di reclusione ciascuno, Mazza e Ruberto 3 anni di reclusione ciascuno, Della Pepa 2 anni di reclusione).
Le parti civili hanno quindi interposto atto di appello, denunciando le pene troppo miti e indulgenti nei confronti del primario e dei medici e che il Tribunale non poteva legittimamente assolvere gli infermieri, in quanto anch’essi responsabili dei reati di cui agli artt. 110, 479 c. 1 e 2, 605, 586 c.p..
Di tale avviso, dopo le polemiche che hanno investito il Tribunale vallese e il pm Martuscelli, trasferito ad altro ufficio a seguito di esposto al C.S.M., da parte di Avvocati senza Frontiere, è stato come detto anche il P.G. di Salerno.
Il processo si avvia quindi alle ultime battute ed è stato rinviato al 26 giugno 2015 ore 11,00.
Sintesi dell’arringa di Avvocati senza Frontiere che ha evidenziato come le condotte dolose poste in essere in danno di Franco Mastrogiovanni promanino con tutta probabilità da una vendetta persecutoria attuata da gruppi dell’estrema destra salernitani legati al F.U.A.N., in grado di avvalersi di illecite connivenze presso le Autorità locali. A prova di ciò ha allegato l’inquietante circostanza che Franco Mastrogiovanni nei 17 anni precedenti il ritorno nella sua città natale non aveva mai avuto alcun problema né subito alcun trattamento sanitario obbligatorio, aggiungendo che le date dei T.S.O. disposti nei suoi confronti dal Sindaco di Pollica Vassallo e di Castelnuovo Cilento, dal 2002 al 2009, sono stati tutti attuati in concomitanza con l’anniversario e manifestazioni rievocative promosse per la morte di Carlo Falvella, ex segretario del FUAN locale, della cui accidentale morte era stato ritenuto responsabile morale Franco Mastrogiovanni, seppure lo stesso invero fosse del tutto estraneo e prosciolto da ogni accusa.
Il legale di Avvocati senza Frontiere ha quindi chiesto la riapertura delle indagini denunciando i comportamenti omissivi e collusivi della Procura di Vallo della Lucania, che perseguitò Franco Mastrogiovanni dal 1999 fino alla sua tragica morte.
Ma vediamo i fatti e le contestazioni mosse alla mite sentenza di primo grado.
Nel caso di specie l’ingiustificata esiguità delle pene comminate, denunciata anche dalla Società civile e dai maggiori media, a fronte della gravità dei reati posti in essere in concorso tra loro dagli imputati, i quali hanno causalmente e scientemente condotto alla morte Francesco Mastrogiovanni, ha reso necessario, da parte di questa difesa, sollecitare con ripetute istanze il Procuratore Capo di Vallo e il P.G. di Salerno, affinché gli stessi provvedessero ad impugnare la sentenza di primo grado, eppoi ad integrare i motivi, per le ragioni in atti allegate a cui si rimanda, come da istanza ex art. 572 c.p.c. del 7.6.13, al P.M. di Vallo, istanza ex art. 570 c.p.p. al P.G. di Salerno del 7.6.13, istanza per l’integrazione dei motivi di appello del pm del 01.07.13, su cui il P.G. si era riservato di decidere, come da nota del 9.7.13, a firma del dr. Fioretti.
In tale contesto, questa difesa ha interposto rituale appello ex art. 573 c.p.p., in data 4.7.13, al fine di riformulare la sentenza di primo grado, anche per quanto attiene l’aspetto risarcitorio, tenuto conto, in tal senso, delle lacune più squisitamente penalistiche che l’impugnata decisione presenta, stante la sostanziale impunità dei gravi reati ascritti agli imputati che impone una diversa e più grave qualificazione giuridica ex art. 597 c.p.p. a carico di medici ed infermieri mandati assolti.
Una tragedia umana annunciata che ci riporta a barbarie medievalistiche, a pratiche tipiche dei regimi dell’est e della Germania nazista per colpire gli oppositori e le minoranze, oggidi, nel caso che ci occupa, mascherate da attività terapeutiche, rendendo la vittima di tale feroce e spietata persecuzione psichiatrica, dove le istituzioni sanitarie sono state piegate ad interessi di stampo politico-mafioso, un vero e proprio martire della libertà, un eroe moderno, disceso negli inferi come Enea, Virgilio e Dante per illuminare la società e contribuire a spianare la strada all’introduzione in Italia di una legge sulla tortura, recentemente approvata dalla Camera con 244 voti favorevoli, 14 contrari e 50 astenuti, affinché casi del genere non avvengano mai più.
L’odissea giudiziaria del Prof. Francesco Mastrogiovanni (Franco come lo chiamavano amici, parenti e alunni), risale agli anni del terrorismo di Stato e dell’eversione nera, molto radicata all’epoca negli ambienti locali di questa città, è la vicenda sconcertante di istituzioni politiche, amministrative, giudiziarie e sanitarie che dovevano tutelare i diritti e la salute di un uomo, peraltro sano e pienamente lucido, come ammesso nella stessa cartella clinica nella quale viene invece disposto il TSO, ed uscito morto dalla struttura ospedaliera (rectius: lager psichiatrico di Vallo), che doveva proteggerlo (homo homini lupus …).
Un caso eclatante che ha smosso le coscienze e i media di tutto il mondo su come vengono gestiti i pazienti e intese le professioni mediche nel ns. Paese da coloro che dimenticano troppo facilmente di avere rinnovato il giuramento di Ippocrate e pur di fare carriera sono disposti a formare cartelle cliniche false, ad occultare i trattamenti disumani da torturatori medioevali a cui vengono di sovente sottoposti i pazienti come il Mastrogiovanni e il Mancoletti. Oltre 4 giorni di ininterrotta atroce agonia, ripresa dalla telecamere, legato al letto di morte, con fasce di contenzione, a piedi e mani, senza che nessun medico e infermiere in servizio prestasse interesse ai suoi disperati tentativi di liberarsi e grida di aiuto. Fatti commessi, in concorso tra medici e infermieri, attraverso la formazione di false cartelle cliniche e attestazioni mendaci all’A.G., con l’aggravante di aver agito con crudeltà e assoluto disprezzo della dignità umana, rifiutando ad oltranza sino all’exitus di prestare soccorso ad un paziente, legato mani e piedi, che ha continuato ad implorare aiuto, fino alla morte, cercando di liberarsi dai lacci di cuoio e plastica che lo facevano sanguinare, impedendogli di bere e alimentarsi, come risulta dalle videoregistrazioni delle telecamere a circuito chiuso, che inchiodano in modo schiacciante tutti gli imputati, nessuno escluso. Attività criminogene che dovranno venire sanzionate con adeguate pene.
Forse neanche Torquemada avrebbe avuto tale cinica spietatezza per le torture inflitte alle vittime sospettate di falsa conversione, alle donne accusate di stregoneria e agli eretici.
Ma la vera storia del maestro elementare “più alto del mondo” come lo chiamavano affettuosamente i suoi alunni, i quali lo amavano indipendentemente dalla sua “fede anarchica” che sapeva tenere separata dall’insegnamento e che lo ha condannato a morte come da lui stesso preannunciato, non è mai stata ricostruita adeguatamente da nessuno né fatta oggetto di indagini da parte delle procure competenti, e merita perciò di essere in breve ricostruita, al fine di introdurre e meglio far comprendere alla Corte i contesti e le ragioni dell’accanimento persecutorio all’origine della morte preannunciata di Franco M. (rectius: omicidio preterintenzionale) .
Mastrogiovanni era un insegnante delle elementari, amante della letteratura, un intellettuale critico e appassionato nell’area libertaria. Nel luglio del 1972 diviene testimone involontario della morte del giovane missino Carlo Falvella, evento che lo segnerà per tutta la vita.
Gli anni ‘70 sono quelli della contrapposizione fascisti/antifascisti, Stato/antiStato, del dogmatismo ideologico e delle dottrine enfatizzate e demonizzate, gli anni degli opposti estremismi.
Ad un’aggressione si rispondeva con un’altra aggressione, dietro al terrorismo nero come a quello rosso si muovevano le strategie stragiste della P2 e dei servizi segreti deviati che alimentavano le contrapposizioni e di cui ancora oggi non sono ancora chiari i contorni.
In quel 2.7.1972 Franco stava passeggiando con due amici, Giovanni Marini e Gennaro Scariati, esponenti anarchici, sul lungomare di Salerno. Pur simpatizzando per il movimento libertario Franco non era certamente un militante, era una persona che amava dibattere e confrontarsi con gli altri sulle questioni di natura politica, come sottolineato dai parenti. In quel periodo però il clima era alquanto concitato, Marini stava indagando sulla morte alquanto sospetta di cinque anarchici [travolti misteriosamente da un camion, prima di poter testimoniare sulla strage di P.zza Fontana [quella che si rivelerà poi essere Strage di Stato], e l’incontro con un gruppo di missini del F.U.A.N. coinvolse Mastrogiovanni in un’aggressione, a seguito della quale venne ferito con una coltellata a una gamba. Il Marini vedendo l’amico Franco cadere a terra in una pozza di sangue, nel disperato tentativo di difenderlo, strappò il coltello dalle mani dell’aggressore, che finì nella gamba del Falvella, il quale purtroppo morirà poi in ospedale. L’accidentale morte del Falvella acuisce le contrapposizioni e una spirale di odio e vendette nei confronti dell’incolpevole Mastrogiovanni, dipinto sino alla sua morte dal P.M. Martuscelli e dai CC, che avrebbero dovuto indagare e chiedere la punizione dei suoi carnefici, come “noto anarchico”, incuranti della sua estraneità ai fatti riconosciuta dalle sentenze. Incomincia da qui la vera e propria persecuzione psichiatrico-giudiziaria di Franco Mastrogiovanni, costellata da un interminabile sequenza di fermi illegali, interrogatori, ingiusta detenzione e processi, sino a giungere ai reiterati ingiustificati T.S.O., sempre autorizzati si noti bene dal Sindaco di Pollica, Vassallo, seppure territorialmente incompetente (a partire da Ordinanza n. 44 del 19/7/2002), in concomitanza con l’anniversario della morte del Falvella, in cui gli attivisti dell’estrema destra ogni anno promuovevano manifestazioni rievocative, promettendo e attuando vendette trasversali.
Lo schema è sempre lo stesso. Mastrogiovanni è un noto anarchico, aggressivo, intollerante all’Autorità, viola il Codice della Strada, oltraggia e resiste ai Carabinieri, rifiuta le “cure”… o per meglio dire le torture (e chi non lo farebbe?). E’ affetto asseritamente da “psicosi reattiva” o da “reazione paranoide acuta” od ancora da “disturbo schizoaffettivo cronico”.
Ma questo accade solo nella sua terra natale.
Nulla di ciò è mai accaduto in 17 anni quando Franco intorno al 1982 si era trasferito a Bergamo, dove ottenne un incarico come insegnante di ruolo e fu felice di trasferirsi, con la speranza di potere lasciare il passato alle spalle, in quanto segnato dalla vicenda umana e dalla condanna dell’amico Marini a ben 12 anni di carcere. Ma purtroppo non è così. Quando torna ad insegnare a Castelnuovo Cilento c’è chi non ha voluto dimenticare ed è pronto a mettere in moto la macchina della vendetta sottile della persecuzione psichiatrica tramite oscure connivenze nella pubblica amministrazione locale.
Gli artefici della sua persecuzione sono sempre i CC locali e l’A.G. vallese incuranti che Franco è stato prosciolto da ogni accusa, ricevendo addirittura un risarcimento danni di lire 25.000.000 per l’ingiusta detenzione.
Infatti, quando, dopo 17 anni, nel 1999, ritorna a vivere in provincia di Salerno, pur insegnando nelle scuole elementari della sua città di origine, Castelnuovo Cilento, il tempo non sembra essersi mostrato galantuomo né essergli stato amico, mancando di cancellare l’odio politico e lo stigma di soggetto pericoloso che, troppo spesso, per faziosità, arretratezza socio-culturale, ristrettezza mentale, incapacità di recepire i cambiamenti, porta taluni indegni rappresentanti delle istituzioni a ritenere comunque colpevole anche chi è stato assolto e risarcito dallo Stato.
Il 5 ottobre 1999, infatti, un futile diverbio con un carabiniere degenera in una condanna a ben tre anni di carcerazione per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, seppure il povero Franco anche in questo caso fosse completamente innocente e vittima di una montatura dei locali Carabinieri.
Ciò nonostante, sconta un periodo in carcere e cinque mesi agli arresti domiciliari. Poi, l’assoluzione in appello a Salerno con risarcimento per ingiusta detenzione.
I fatti del 1972 e del 1999, portano Franco a vedere nei rappresentanti delle forze dell’Ordine (forse non a torto), i suoi persecutori, sviluppando una forma di profondo terrore e una sorte di fobia per le divise, che lo induce ad evitare qualsiasi contatto, sino ad allontanarsi quando ne viene a contatto.
Le divise diventano così il suo tallone di Achille con cui avrebbe potuto convivere se lo avessero lasciato in pace, come fu per Sacco e Vanzetti, sino ad essere anche loro ingiustamente giustiziati, seppure innocenti, divenendo simbolo dell’ingiustizia di chi è morto per sostenere un’idea.
L’unica “malattia” di Franco, se proprio così vogliamo definirla, era l’insofferenza alle divise, da cui temeva – non certamente a torto visto il suo barbaro preordinato assassinio – di venire ingiustamente privato della libertà e sottoposto a disumani trattamenti sanitari obbligatori.
Quello prima della sua morte presso il lager vallese non fu infatti il primo TSO, mai comunque anche in precedenza giustificato da particolari stati emotivi di pretesa “aggressività” di Franco che, ben lungi dal costituire una minaccia per sè o per gli altri, si limitava ad evitare e/o ad allontanarsi di fronte a chi indossava una divisa (forze dell’ordine, medici ed infermieri), nel timore che gli facessero dell’altro male.
In un paese come Castelnuovo Cilento, il ritorno di Franco non passò certamente inosservato.
Da molti, in specie presso la locale procura, le forze dell’ordine che avevano infondatamente sostenuto l’accusa, vicini ad ambienti restii ai cambiamenti, venne percepito come il ritorno di un personaggio malvisto, ciò che determinò un ingiusto accanimento nei suoi confronti, fatto di insulti, angherie e false accuse costruite ad hoc dal locale Comando dei Carabinieri e sostenute contro ogni diversa evidenza testimoniale dal P.M. di Vallo Martuscelli. Persecuzioni e condanne che segnano in maniera indelebile la vita della vittima, non già della sua “insofferenza alle divise”, ma bensì della ben più grave e profonda insofferenza delle istituzioni alle sofferenze dei più deboli.
Non vi sono mai stati infatti atteggiamenti da parte di Franco, od episodi di cui lo stesso sia stato protagonista, che abbiano in alcun modo legittimamente potuto indurre il Sindaco di Pollica, territorialmente incompetente e di Castelnuovo Cilento, per ben quattro volte, nel 2002, 2003, 2005 e 2009, sempre in occasione dell’estate (rievocazione della morte del Falvella), a firmare l’ordine di TSO, onde sottoporlo a trattamenti sanitari coattivi che infine ne provocheranno la morte.
Le cause della morte di Franco vanno quindi ricercate altrove nel passato, nell’odio politico e nel desiderio di vendetta dei gruppi dell’estrema destra ben introdotti negli apparati di potere locale. Ma la Procura di Vallo non ha inteso indagare su cosa accadde veramente il 31/7/09, prima dell’ultimo fatale TSO, autorizzato dal Sindaco di Pollica, che egli stesso ammise essere un provvedimento eccezionale e di averne firmati al massimo tre in tutta la sua vita (dimenticandosi forse trattarsi sempre della stessa persona…) .
Il 31/7/09 Franco stava tranquillamente trascorrendo a San Mauro Cilento alcuni giorni di vacanza in un campeggio, quando i Carabinieri vanno a prelevarlo per l’ennesima volta con la forza, circondando il suo bungalow con un inusitato spiegamento di forze, neppure si trattasse di un pericoloso latitante o di un mafioso. Seppure non avesse commesso alcun reato, alla vista delle forze dell’ordine si allontana istintivamente verso la spiaggia e si ferma a bere un caffè e a fumare una sigaretta, mentre viene circondato da terra dai Carabinieri e dal mare dalla Guardia Costiera. Il tutto per un solo uomo pacifico e inoffensivo al fine precipuo di sottoporlo all’ultimo fatale atto persecutorio violativo della persona persona umana attuato mediante tortura pseudosanitaria denominata TSO, che lo porterà alla morte, presso il famigerato lager-psichiatrico di Vallo, dove Franco scongiurava, senza opporre si ribadisce alcuna forma di resistenza, di non essere portato lì, certo che questa volta non ne sarebbe uscito vivo.
Quello che appare come un dispiegamento di forze per catturare un importante criminale viene giustificato da ragioni pressoché banali e del tutto fumose, fermamente contestate dai parenti della vittima e non confermate dai testi. Franco, la sera del 31 luglio avrebbe generato problemi guidando a forte velocità nel centro abitato del comune di Acciaroli, la mattina successiva la cosa si sarebbe ripetuta nel centro di Agnone Cilento, provocando si asserisce il tamponamento di una non meglio precisata vettura. Ma è stranamente ancora una volta il Sindaco di Pollica Vassallo, ad avvisare la polizia municipale e sarà sempre lui a sottoscrivere l’ordine di TSO.
Singolarmente, a riguardo non risulta alcuna denuncia di sinistro o tamponamento da parte di chicchessia e l’autovettura di Franco non riporta alcuna forma di danno, neppure lieve.
E’ dunque chiaro si sia trattato di una montatura preordinata a tavolino per psichiatrizzare l’inviso anarchico, ritenuto il “responsabile morale” della morte del Falvella, e si è rivelato altresì fondato il timore di Franco che se lo avessero riportato nel lager di Vallo della Lucania, questa volta non ne sarebbe uscito vivo.
Le ragioni della sua morte e dell’accanimento persecutorio costruito intorno alla sua persona vanno quindi ricercate altrove e si auspica che il P.G. di Salerno all’esito del giudizio vorrà trasmettere gli atti alla Procura competente ex art. 11 c.p.p.
Illegittimità del TSO e dell’archiviazione del parallelo giudizio di cui è stata invano richiesta la riapertura ex art. 414 c.p.p., alla procura di Vallo. Al riguardo, non si può fare a meno di ricordare che a disporre l’archiviazione del procedimento per l’illegittimità del TSO e a sostenere l’accusa nel 1999 è lo stesso pm Renato Martuscelli, che chiese ed ottenne la condanna di Franco a tre anni di reclusione per pretesa resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, seppure ben 6 testi presenti ai fatti avessero testimoniato in suo favore, denunciando che Franco era stato viceversa vittima dell’aggressione dei Carabinieri, che lo avevano preso di mira, in quanto anarchico. Condanna poi come detto integralmente riformata con illuminato coraggio e senso di giustizia da codesta Corte d’appello di Salerno, e conseguente condanna dello Stato Italiano per l’ingiusta detenzione di Franco.
Il TSO assorbito nella legge 833/1978, sostituisce il ricovero coatto e si dispone solo quando sono necessari trattamenti urgenti e tali da non consentire di poter adottare misure extra-ospedaliere. “Urgenza” è questo il fattore che caratterizza l’uso di questo dispositivo medico-giuridico, significa che bisogna ricorrere ad esso solo come ultima alternativa, solo quando sono fallite tutte le possibilità intermedie di comunicazione con il paziente, o quando c’è un acuirsi, un collasso, una rapida degenerazione delle condizioni di salute di una persona tale da renderlo pericoloso per se stesso e per gli altri. Da qui la previsione estrema di immobilizzarlo al letto di contenzione.
La dottrina psichiatrica prevede queste disposizioni particolari ma è improntata, come Basaglia sottolineava, al dialogo, il clinico deve accertare tipo e qualità di adesione del paziente alle cure in modo costante e periodico, il Tso può divenire imminente qualora il paziente non accetti di essere sottoposto volontariamente alle terapie. Se ripercorriamo la storia di Franco si appura, con una certa immediatezza, che nulla di tutto questo è stato rispettato dal personale medico e di servizio, in quanto Franco era del tutto inoffensivo e collaborativo. Quando fugge in preda al panico perché tallonato da un inusitato spiegamento di forze dell’ordine, tenta il tutto per tutto gettandosi in mare. Rimane in acqua per un paio di ore, ma poi, al momento della resa, è inerme, non aggredisce nessuno e si lascia praticare ben tre iniezioni. In queste condizioni il Tso non aveva ragion d’essere praticato. Non vi era la necessità di effettuare il trasporto coatto in ospedale, poiché il paziente non sta rifiutando le cure e non era aggressivo, ma il personale del 118 continua ad eseguire le procedure. “Non portatemi a Vallo, li mi ammazzano”, implora Franco quando si lascia caricare nell’ambulanza. Franco pronuncia queste parole fatidiche che rivelano la sua piena consapevolezza del trattamento che gli sarebbe stato lì riservato. Il dato di fatto, è che in quel lager Franco è morto davvero e per tutti quella frase appare più sensata e lucida di tutte le brutali e ciniche procedure a cui è stato sottoposto.
Dopo essere rimasto ininterrottamente legato mani e piedi per oltre tre giorni, senza cibo nè acqua, Franco è morto a causa di un “edema polmonare”, soffocato dalla criminale indifferenza di chi doveva provvedere a curarlo, assisterlo, nutrirlo e ascoltare le sue grida di sofferenza.
Ma dal momento che entra nel lager del San Luca, il 31/7/09, fino al decesso avvenuto il 4 agosto, è un’agonia in piena regola, paragonabile ad uno scenario medievale. È solo grazie alla trasmissione “Mi Manda Raitre” che il caso viene reso pubblico, mandando in onda il video delle riprese della telecamera di sorveglianza della stanza delle torture e della morte.
Le immagini parlano da sole, hanno un potere di giudizio insindacabile, come emerge dagli atti.
Alle 12.33 nella stanza entra un uomo sulle proprie gambe, che mangia e si muove tranquillamente, dopo quasi 2 ore, alle 14.25 quella stessa persona viene legata mani e piedi al letto ed inizierà il suo calvario di morte. I lacci della contenzione hanno in questa storia la stessa importanza di un coltello piantato in un torace. Sono sì previsti, durante un TSO, ma in casi di eccezionalità e per un tempo necessario ad eseguire quell’operazione che sarebbe impossibile da svolgere su un paziente ostile, tale da non riuscire fisicamente a tenerlo fermo. “Durante tutta la degenza il paziente si è mostrato troppo aggressivo, rifiutava le terapie ed il cibo, il personale era così impossibilitato ad effettuare un prelievo di sangue”, queste le miserabili e false giustificazioni di medici e infermieri, dichiarazioni tutte poi inesorabilmente travolte dalla cruda verità emergente dal filmato. Infatti, il riscontro delle immagini ha fatto emergere ben altri barbari scenari…
In spregio a ogni protocollo e senso di umanità, per tutto questo tempo Franco rimane, invece, legato al suo letto di morte, troppo piccolo, tra l’altro per contenere i suoi 190 cm di altezza.
Il susseguirsi delle crude immagini della telecamera ci mostra tutta la sua atroce sofferenza, acuita da una morsa talmente pressante e persistente, tanto da farlo sanguinare. In un continuo disperato tentativo di liberarsi, in assenza di aiuto, si assiste all’agonia di un essere umano che cerca di divincolare il proprio corpo, intervallata da stati di cedimento, fino alla morte avvenuta intorno alle 02.00 della notte del 4 agosto. Devono passare, però, ben sei ore, affinché ciò venga constatato dall’incurante e cinico personale sanitario.
Alle 7.40, infatti, il video focalizza l’obbiettivo su un maldestro tentativo di rianimazione, ma, come riportato negli atti, viene prima di tutto rimossa la coercizione.
In questo allucinante scenario medioevale i medici e gli infermieri sembrano degli automi.
Nei quattro giorni di torture Franco non viene trattato da paziente nè da essere umano. E’ un uomo privato dei suoi più elementari diritti. Come un manichino. Aghi, flebo, pannoloni, fasce di contenzione, cateteri, è intorno a questi elementi che si concentrano le uniche “cure”. Quando il corpo denudato violato e sedato dell’essere umano ridotto a cosa scivola continuamente dal letto si “risolve” tutto rinforzando la contenzione. Quando compare una pozza di sangue che gli scende dal braccio è sufficiente passare lo straccio per terra. Quando il pannolone si straccia ha poca importanza sostituirlo. Anche il sintomo del respiro affannoso che preannuncia gli ultimi rantoli di vita non assume alcuna importanza. Tutto è irrilevante e passa inosservato.
La falsa cartella clinica che inchioda primario, medici e personale paramedico riassume la cinicità e l’ipocrisia che si respirano nel lager psichiatrico del S. Luca di Vallo della Lucania.
Le difese degli imputati parlano laconicamente di morte per “improvviso arresto cardiaco”, sopraggiunto alle 7.40, ma non c’è traccia alcuna delle ingiustificate misure della contenzione, che per legge devono essere dettagliatamente descritte. Muore così un uomo entrato sano e sottoposto senza alcuna obiettiva ragione a trattamenti degradanti; e la sua morte per qualcuno è normale, è frutto di fattori naturali. Così muore il “pericoloso anarchico” Franco Mastrogiovanni.
Per altri invece è una questione morale di interesse pubblico sull’uso della contenzione e del Tso.
Si accendono i riflettori su un reparto di psichiatria italiana. La sorpresa è che in quel lager la contenzione era una pratica ordinaria e frequente.
In questa vicenda non si può ricondurre il tutto ai soli concetti di malasanità, negligenza o superficialità, in questa storia c’è ben di più, c’è la morte assurda e paradossale di un uomo insofferente verso le vessazioni inflittegli dallo Stato che muore in un ospedale pubblico dello Stato, nelle mani di soggetti che di questo Stato ne sono una proiezione. Senza che si sia voluto indagare più a fondo.
La società civile e i parenti delle vittime si aspettano infatti una condanna esemplare, senza sconti e impunità, non per giustizialismo, ma per spirito di giustizia, affinché mai più possano verificarsi nel nostro Paese trattamenti disumani e degradanti, in danno di persone inermi. Seppure, mai, nessuna condanna e risarcimento danni potranno restituire la vita a Franco Mastrogiovanni, togliendogli le atroci sofferenze e l’inenarrabile lenta agonia che ha dovuto sopportare prima di morire, nell’indifferenza generale di un intero ospedale assuefatto a illegali pratiche coercitive.
Tratto da pagina fb Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood – Avvocati senza Frontiere
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